La Repubblica (F. Vanni) – Il privilegio di essere abbonato è da sempre uno dei tormentoni della pubblicità. Valeva per la Rai e vale per Amazon, i quotidiani e le palestre. A volte è vero, altre meno. È verissimo per i top club di Serie A: ormai senza tessera è difficile vedere dal vivo qualsiasi partita. Nell’anno delle tre italiane finaliste nelle coppe, del Napoli campione d’Italia e dei derby milanesi in Champions, le emozioni più forti le hanno vissute solo i felici possessori di carta fedeltà, riconoscimento di status che va oltre la prelazione per l’acquisto dei biglietti. Alla faccia del tifoso occasionale, che si sveglia la mattina del match illuso di potere pagare e avere un posto allo stadio la sera. Il caso che ha fatto più discutere è quello dell’Inter, che per la finale di Champions ha dato priorità agli abbonati non solo per la partita a Istanbul, ma anche per affollarsi davanti al maxi-schermo di San Siro. “Non c’è criterio più democratico della fedeltà”, spiegavano alla biglietteria del club nerazzurro. Ed effettivamente un criterio di selezione serve, in una stagione in cui il Meazza è stato riempito in media al 95,8 per cento: 72.641 tifosi su 75.817 seggiolini, con i pochi posti vuoti nel settore ospiti. Numeri simili per il Milan e la Roma, l’Atalanta e la Juventus.