Vince il team o il singolo? Mettete Messi nella Roma…

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La Gazzetta dello Sport (P. Condò) – Rispondete a questa domanda analizzandola, se vi è possibile, soltanto dal punto di vista tecnico (il tifo inquina il ragionamento). Se quest’anno la Roma che prendiamo in esame in quanto seconda in classifica avesse potuto contare su Leo Messi, avrebbe vinto lo scudetto oppure i 15 punti di vantaggio della Juve non sarebbero stati interamente colmati? Se la vostra risposta è che la Juve avrebbe vinto comunque, sia pure con un margine minore, il vostro è un profilo «collettivista»: per quanto il singolo sia straordinario, la squadra avrà sempre la meglio. Se invece pensate che lo scudetto sarebbe andato alla Roma, lo step successivo ha una risposta ovvia (l’avrebbe vinto anche la Lazio, che ha un punto solo in meno della Roma), mentre quello ancora successivo è più impervio: con Messi l’avrebbe portato a casa pure il Napoli, che dalla Juve dista la bellezza di 20 punti? Siete in ogni caso adepti del partito «individualista», il punto è capire quanto: più scendete in classifica dicendo sì, meno siete disposti a riconoscere che il calcio sia un gioco di squadra. Se arrivate a immaginare che con Messi pure il Parma avrebbe vinto questa Serie A, il football per voi non è molto diverso dal tennis. Ciò che conta è esclusivamente il colpo del campione.

IL GIOCO PER IL TALENTO Il dubbio fra singolo e collettivo è datato quanto il mestiere più antico del mondo (il giornalista sportivo): da Pelé a Maradona, da Cruijff a Robi Baggio, da Ronaldo Fenomeno a Ronaldo Cristiano c’è sempre stato un fuoriclasse sul cui impatto è divertente dividersi. Grandi baruffe, grandi filosofie, grandi cene per discuterne. Il problema è che Leo Messi ha spostato molto in avanti la frontiera del dubbio, perché questo segna veramente quando amen gli pare, e la battuta di Guardiola alla vigilia sul fatto che non fosse possibile fermarlo si è dimostrata un’assoluta realtà. Ma su Leo c’è anche un’altra frase celebre di Pep. La disse al suo giovanissimo campione il giorno dell’insediamento sulla panchina del Barça, estate 2008: «Se mi permetti di costruirti attorno il gioco che ho in mente, tu segnerai tre gol a partita». Nemmeno tanto iperbolica come profezia, considerato ciò che ne è seguito; e soprattutto contiene la pietra filosofale del discorso, ovvero la possibilità di sfruttare al massimo il talento attraverso una manovra che ne esalti le caratteristiche. Questo è ciò che Guardiola ha creato col Barcellona di Messi, questo è ciò che Luis Enrique ha rinfrescato. Consapevole di andare incontro a un’esecuzione, perché oggi Messi è in modalità «niente prigionieri» e perché gli mancava Alaba, l’unico difensore al mondo in grado di contrastarlo (l’austriaco è una specie di Pogba delle difese, fisico spaziale e tecnica sopraffina), Guardiola ha alzato ulteriormente la posta partendo con la difesa a tre non a cinque, a tre! nel tentativo di isolare il trio di predatori del Barça. Ma la superiorità numerica a centrocampo non bastava a controllare il match, ogni palla che filtrava diventava una chance mortale, e Pep è stato rapidamente costretto a ripiegare sulla «quattro». Malgrado ciò, al minuto 76 era ancora 00, e senza aver patito altre palle gol clamorose dopo quelle del primo scorcio. Sembrava fatta. Sembrava.

LE ECCEZIONI CONFERMATIVE Che giocatore sarebbe oggi Messi se anziché Guardiola avesse incontrato sulla sua strada un teorico della difesa e contropiede? Noi pensiamo peggiore, o meglio ormai sfiatato perché con Pep ha sempre giocato dalla trequarti in su, mentre nell’altro caso sarebbe dovuto partire come minimo dalla linea di metà campo. Ma naturalmente manca la controprova, e si può tranquillamente sostenere che se non avesse avuto a disposizione Messi, oggi Guardiola allenerebbe il Murcia: mica si va in prigione, a dire sciocchezze simili. Quel che è certo è che il dubbio sull’impatto del singolo viene quando si parla di una decina di giocatori nella storia del calcio, ovvero lo zero virgola molti zeri prima di poter scrivere uno. Che poi la storia dell’eccezione che conferma la regola l’hanno inventata per personaggi del genere: lo stesso Sacchi, che in quanto a superiorità del collettivo potrebbe aprire a Fusignano una sezione del Pcus (per i più giovani: il partito comunista dell’Unione Sovietica), sosteneva che i suoi dogmi valessero sempre tranne che davanti a Maradona. Definendo Messi irrefrenabile, Guardiola non ha fatto altro che citare Arrigo. E comunque, se il prossimo anno Leo fosse libero per la Triestina, vinceremmo lo scudetto anche partendo dalla Serie D…

 

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