Sanchez: «Paura di Dzeko? Macché, ho marcato Messi»

Corriere Fiorentino (L.Bardazzi) – I riccioli afro sempre più in vista («A mia moglie Norelia piacciono tanto, ho provato le treccine ma solo per gioco»), il sorriso contagioso stampato in faccia e quella voglia di lottare su ogni pallone che sta conquistando il Franchi. La roccia viola Carlos Sanchez (lo chiamano la Roca della Nazionale colombiana) ha tutto quello che serve per entrare nel cuore dei tifosi: ogni partita lotta e suda per novanta minuti, trascina i compagni e ce la mette tutta. Una specie di Beppe Iachini con qualche capello in più, insomma. E pazienza se la classe non è esattamente quella di Borja Valero: «Non ho mai visto giocare Iachini — dice ridendo — ma so che giocatore è stato perché i tifosi di Firenze me ne hanno parlato. La gente è contenta della mia grinta? Bene, benissimo. Il calcio è gioia e l’affetto dei tifosi viola mi spinge a dare ancora di più. Non vedo l’ora di giocare la prossima partita per guadagnarmi ancora più stima». Non solo cuore e grinta però. Sanchez infatti, anche in Nazionale, è l’uomo che copre le spalle ai palleggiatori e gli attaccanti. Ultimamente poi si è specializzato in un ruolo completamente nuovo: il difensore centrale.

Sanchez, come è nata l’idea di spostarsi in difesa?
«Ero fuori da qualche partita, una mattina il mister mi fa: “Te la senti di giocare dietro”? “Qual è il problema?”, rispondo io. E da lì è cominciato tutto: qualche allenamento accanto a Gonzalo e poi la partita con la Juve, bellissima. Dopo la vittoria ho chiamato Cuadrado perché volevo godermi il momento, ma lui era triste e io non ho infierito. Agli amici non si manca mai di rispetto».

E se fare il difensore diventasse il suo mestiere per davvero?
«Perfetto. L’importante è essere utile alla squadra e sentirsi importanti. Non faccio gol come Higuain, ma per la Fiorentina giocherei anche centravanti… Finora in difesa mi sono sempre trovato bene, a Napoli ho sofferto Insigne, ma chi non avrebbe faticato contro un giocatore così veloce?».

Bello il feeling che si sta creando con la città. Quanto le piacerebbe rimanere qui?
«Tanto, tanto davvero. Quando quest’estate chiamai Cuadrado (ci conosciamo fin da quando eravamo piccoli, per me è come un fratello) per farmi descrivere Firenze, in cuor mio avevo già deciso: la Fiorentina è una squadra conosciuta, lo stadio è bellissimo e la squadra gioca bene. Cosa avrei potuto volere di più? La mia storia qui poi è cominciata alla grande: ho segnato il gol della vittoria contro il Chievo, nella notte dei 90 anni viola. Una soddisfazione enorme. Io però sono in prestito dall’Aston Villa e di mercato parla solo il mio procuratore. Aspetto la chiamata di Corvino e intanto penso a vincere le partite».

Con Sousa c’è stato un momento di tensione. Da titolare del centrocampo si è ritrovato in panchina. Che è successo?
«A Cagliari sbagliai posizione su un calcio d’angolo e prendemmo gol. Si arrabbiò di brutto, ma aveva ragione. Qualche giorno dopo gli andai a parlare per dirgli: “Mister, capisco le sue scelte, ma sappia che io ci sarò sempre quando avrà bisogno”. Credo che abbia apprezzato e infatti oggi sono titolare».

Il Milan ha perso, ma il quinto posto resta distante 5 punti. Quando credete all’Europa?
«Claro che ci crediamo. Se non credessimo nella rimonta saremmo morti… Siamo una bella squadra, abbiamo un’idea di gioco e tutte le potenzialità per arrivare in Europa League anche il prossimo anno. Con il Borussia a proposito saranno due bellissime partite, intanto però pensiamo alla Roma. Sarà una partita emozionante e noi giocheremo per vincerla».

L’inizio del 2017 è stato molto positivo per voi. Cosa vi è mancato a inizio stagione?
«Tanti giocatori sono arrivati solo a pochi giorni dall’inizio del campionato e questo ha pesato. Non è una questione di modulo, semmai di fiducia. Vincere le grandi partite ti aiuta. Sa in cosa dobbiamo ancora migliorare? Nella maturità. Abbiamo vinto grandi partite come contro la Roma o la Juve e poi perso punti contro le più piccole. La maturità nel calcio fa la differenza, soprattutto in un campionato difficile come questo. Io sono convinto che la Fiorentina è sulla buona strada, Sousa è un vincente. Dobbiamo solo continuare a credere in noi stessi e con il tempo riusciremo a toglierci anche questo difetto».

Parliamo di lei. Quanto le manca la Colombia?
«Sarò sincero, moltissimo. Ormai però è una vita che giro il mondo e ci ho fatto l’abitudine. Andai via da casa a 17 anni per provare a sfondare nel Danubio, in Uruguay. In Colombia nessuno mi considerava e un procuratore mi propose di emigrare: non ci pensai due volte e gli dissi “cosa stiamo aspettando?”. Fu dura, dai 32 gradi di casa mia mi ritrovai al gelo, con cibo, cultura e abitudini diverse. Per inseguire i sogni però sei disposto a fare questo e altro. Ora ho in mente un progetto per aiutare i bambini della mia città (è di Quibdò, a un passo dal Mar dei Caraibi, ndr): voglio costruire un campo da calcio per toglierli dalla strada e farli divertire».

Cosa fa per sentirsi meno distante da casa?
«Leggo i libri di Garcia Marquez, per esempio. Lui è un mito per noi colombiani e per me è stato un enorme piacere partecipare (il mese scorso, ndr) alla mostra organizzata in suo onore dalla Regione Toscana. Leggere mi piace, mi aiuta a imparare e a staccare la spina».

In Inghilterra l’anno scorso non è andata bene. L’Aston Villa è retrocesso e lei ha giocato poco. Che è successo?
«L’allenatore chi mi ha voluto, Lambert, è rimasto appena sei mesi. Nell’anno e mezzo in cui sono rimato lì abbiamo cambiato 5 tecnici: come si fa a lavorare bene in una situazione del genere? Anche le esperienze brutte però ti insegnano qualcosa e per questo sono sempre rimasto tranquillo: sapevo che giocando bene in Nazionale, accanto a campioni come James, Cuadrado e Bacca, si sarebbe presentata l’occasione per cambiare. E così è stato».

Con l’italiano se la cava benissimo. Ma Firenze è riuscita a visitarla?
«Poco purtroppo. Quando non giochiamo volo in Colombia per gli impegni in Nazionale e il tempo per fare il turista non c’è. Io comunque abito in centro e basta fare due passi per capire la città: la gente ti sorride, fa battute e ha il cuore viola. Il Ponte Vecchio, il Duomo e Piazza della Signoria poi sono stupendi. La mia famiglia qui si trova benissimo e per me questo aspetto vale più di tutto. L’italiano? Sì, me la cavo. Mi aiuta la tv, guardo il tg, la politica, il calcio e i cartoni animati insieme ai miei figli Cataleya e Benjamìn. Ancora però non mi chiedete di leggere un libro nella vostra lingua: magari, se l’anno prossimo sarò ancora qui, ci proverò».

Allora in bocca al lupo per Roma. Anche se contro Dzeko non sarà certo facile. Preoccupato?
«Chi io? E perché dovrei esserlo? Ho marcato Messi, Neymar, Ronaldinho e mille altri, credo riuscirò a far bene anche contro la Roma. Certo, loro sono forti. Ma per batterci dovranno giocare una grandissima partita».

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