Corriere dello Sport (R. Maida) – Ha fatto sogghignare anche Ryan Friedkin, passato in quattro giri d’orologio dal senso di un fallimento al massimo della goduria. Sarebbe stato uno dei peggiori in campo, se non avesse arpionato quel passaggio un po’ morbido di Dybala e usato la mole per spazzare via il malcapitato Touba e disegnare la parabola della vittoria.

In un tiro, in una giocata, in un urlo, Romelu Lukaku si è messo alle spalle una delle settimane più antipatiche della carriera. E che sia passato dai fischietti di San Siro all’abbraccio della sua gente, sotto alla Curva Sud e senza la maglia gettata chissà dove, sa tanto di liberazione. I grandi centravanti, i campionissimi, sono quelli che un allenatore non toglie mai dal gioco perché anche nella partita più negativa possono estrarre dal repertorio un pezzo di bravura. Questione di esperienza, di profumi.

Non sembrava proprio aria: oltre a non individuare quasi mai una conclusione pulita – l’unica, nel secondo tempo, è stata pure centrale e ben controllata dal portiere del Lecce – Lukaku non riusciva a intendersi con Dybala. Stranezze della vita e del calcio: la coppia più bella faticava a ragionare per stile, tempi, controllo.  Ma alla fine, all’ultimo sospiro, in quegli attimi senza appello e senza opzioni, è uscito fuori l’orgoglio del fuoriclasse. Lukaku ha messo fisico, testa e lucidità per segnare il sesto gol in campionato e riportare la squadra in una posizione di classifica più ragionevole. Su assist di Dybala, chiaro. Non è ancora abbastanza per volare ma è la piattaforma da cui decollare.