Il Messaggero – Luis, rivoluzione a metà

«Non siamo riusciti a fare tutto quello che volevamo: l’intenzione era di sfoltire l’organico e di inserire qualche giovane della Primavera in rosa già quest’anno». La frase di Franco Baldini, detta in pubblico nel giorno del suo ritorno a Trigoria, continua ad essere sottovalutata o ignorata. Sono passate due settimane da quella conferenza stampa in cui il neo direttore generale ha spiegato in modo inequivocabile e sincero il percorso della Roma di DiBenedetto. Che aveva come priorità la ricostruzione della squadra, cambiando il maggior numero di interpreti. Per puntare su giovani di prospettiva, affamati e in assoluto nuovi. Facce diverse da quelle della gestione precedente, per permettere a Luis Enrique di poter partire da zero, senza che i singoli confermati potessero rimpiangere metodi e abitudini del passato, rifiutando la svolta che impone orari, regole di convivenza e di appartenenza, allenamenti mirati, lunghi e faticosi, applicazione e concentrazione in campo e davanti al video.

Non è stata possibile una virata autentica e definitiva: lo ha chiarito Baldini e, come si è visto da alcune scelte di questi primi tre mesi e mezzo, l’allenatore si è dovuto adeguare. Sono stati ceduti solo i giocatori che avevano comunque mercato, altri sono stati regalati e tanti sono rimasti. Tre giovani dopo il ritiro hanno fatto marcia indietro: Caprari, Verre e Viviani sono di nuovo a disposizione di Alberto De Rossi, il tecnico della Primavera, perché spazio non ne avevano più. Tre, invece, ceduti: Crescenzi, Antei e Bertolacci. Per l’arrivo degli ultimi acquisti e soprattutto per il mancato snellimento dell’organico. Ma la presa di posizione del dg, tra i dirigenti il più in sintonia con Lucho, voleva essere proprio una difesa a 360 gradi della scelta di partenza e contemporaneamente una richiesta di non pretendere tutto subito. Da quanto abbiamo visto fin qui, e non per le undici formazioni diverse in undici gare, Luis Enrique è stato corretto a non scaricare nessuno (o quasi), cercando di coinvolgere quasi tutti i componenti della rosa: 28 giocatori utilizzati (29, se contiamo Brighi, ceduto a fine agosto all’Atalanta). Ma non ha nascosto le sue preferenze. Pur dando chance a tutti, solo due terzi del gruppo lo convince in pieno. Senza mai criticarne la professionalità, ha individuato chi non è idoneo alla sua idea di calcio. Su alcuni si era espresso già a giugno, nei colloqui con Sabatini.

Troppi, insomma, fuori gioco (il suo, ovviamente). Chi per età, chi perché appagato (non si sa da che), chi per poca qualità, chi per fragilità fisica o psicologica (anche entrambe) e chi per crisi di rigetto verso un sistema di gioco dispendioso ed estremamente offensivo. Senza estremizzare, definendoli bocciati, Luis Enrique sa che un gruppo di giocatori non ha niente a che fare con il suo sistema: Cassetti, Juan, Cicinho, Simplicio, Taddei, Borriello e Okaka. Senatori e non solo. I dirigenti la pensano come lui, ma per ora non hanno avuto la possibilità di sostituirli (richieste per loro: zero, a parte Borriello). Se riuscirà a piazzarne qualcuno a gennaio (sicuro l’addio di tutti a giugno), allora potrà in parte rinfrescare l’organico. Seguendo le indicazioni di Lucho che ha provato a rilanciare Cicinho, Simplicio e Juan, senza avere le risposte che si aspettava, che ha provato a convincere Cassetti di sentirsi più centrale che terzino (le ultime prestazioni dell’interessato hanno dato ragione al tecnico), che sta ancora lavorando su Taddei per farlo essere almeno il vice di Josè Angel. Borriello finisce sempre nei 18, ma da quest’estate è sul mercato, unica partenza che può portare milioni nel forziere della Roma. Okaka è in scadenza di contratto e anche lui andrà via. Tra i giocatori in bilico, Perrotta e Pizarro: Luis Enrique li sta utilizzando e se li tiene stretto. Anche perché il primo ha dato la disponibilità a fare il terzino e l’altro rimane il più tecnico dei centrocampisti. Ma per entrambi il futuro è incerto.
Il Messaggero – Ugo Trani

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