Roma e le radici di Totti. L’allenatore della Smit Trastevere: «Un baby già fenomeno»

La Gazzetta dello Sport (M.Calabresi) La storia di Francesco Totti con la maglia della Roma è arrivata al capolinea. Ma le prime fermate di un viaggio lungo quasi 30 anni sono quelle di un talento fuori dalla media, il classico fenomeno di cui ti accorgi al primo tocco. No, non era come gli altri, e la voce che alla Smit Trastevere giocava un piccolo fenomeno ci mise poco a farsi largo, anche in una città grande come Roma. Tappa intermedia, Lodigiani: quartiere San Basilio, lontano metà Raccordo da Trigoria. Oggi, Emidio Neroni coltiva zucchine e melanzane in Sardegna, a La Maddalena: non avrà la fortuna di essere allo stadio, ma all’epoca ebbe la fortuna di lavorare in Figc. La mattina in ufficio, il pomeriggio in campo: tante conoscenze, il viavai di persone in sede. E una segnalazione di Stefano Caira: «Emì, c’è un ragazzino veramente forte». Dal «vabbé, fammelo vedè» al «prendetelo subito, nun ce pensate neanche n’attimo» passò il tempo di un provino. «I talenti bisogna aiutarli – spiega Neroni, che ha allenato Totti per due stagioni, categoria Esordienti –. E aiutarli significa far capire loro di non essere migliori degli altri. Con me non ha mai avuto la maglia numero 10 e mai la fascia di capitano. Era la mentalità della Lodigiani, in cui mi rispecchiavo: non c’era cattiveria, ma solo attenzione alla crescita del ragazzo. Il capitano era Paolo Agostini, Francesco non doveva vivere sul piedistallo».

LAMPADINA – Eppure, quel numero 8 l’occhio lo rubava: «Sornione. All’inizio sembrava quasi non stesse in campo, quando giocava. Poi, a un certo punto, si accendeva la lampadina e faceva quello che gli pareva. E fuori dal campo gli piaceva scherzare: era uno di quelli che tirava il sasso e nascondeva la mano, ma senza mai esagerare. Era evidente che una grande squadra se lo sarebbe portato via. Giorgio Perinetti si mise d’accordo con Rinaldo Sagramola: ci furono momenti di attrito per il contratto, ma non poteva che finire così. È ancora un piacere vederlo giocare: purtroppo non è più supportato da una condizione fisica adeguata e non può avere lo stesso rendimento di una volta, ma quando tocca il pallone chiudo gli occhi e ripenso a Francesco bambino. E mi emoziono».

PRIMAVERA – Francesco ragazzo, invece, si prese lo scudetto 8 anni prima di Roma­-Parma del 2001. Era sprecato per giocare con i ra­gazzi della sua età: sotto età in Primavera, scese con gli Allievi solo per le finali scudetto, stagione ‘92­-93, quella in cui Boskov lo aveva già fatto esordire in A, a Brescia. Avrebbe potuto giocarle svogliato, quelle finali, e invece no. «Scese con grande umiltà, si inserì perfettamente nel gruppo – ricorda Ezio Sella, il tecnico di quegli Allievi –. Poteva giocare centrocampista centrale o centravanti, faceva la differenza ovunque. Era in grado di segnare 2-­3 gol a partita, senza fatica. Già allora, era uno spettacolo: mi dispiacerà non vederlo più con la maglia della Roma, si perde un grande patrimonio, uno dei pochi giocatori rimasti a farti venire la voglia di andare allo stadio». Sella si è operato da poco al ginocchio, domani non ci sarà: «Troverò il modo di mandargli un messaggio». Gliene arriveranno a migliaia, ma nessuno potrà consigliargli il lavoro della sua seconda vita: «Se si sente di giocare ancora, perché non farlo? Per me può fare l’allenatore e pure il dirigente: sa inserirsi in qualsiasi situazione in poco tempo, capisce subito quello che deve fare». Lo avevano capito tutti, invece, cosa avrebbe dovuto fare, quando il viaggio che domani lo porterà per l’ultima volta nell’Olimpico non era ancora iniziato. Totti non era ancora Totti, ma un ragazzino della Smit Trastevere che prometteva bene.

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