Il Messaggero (A. Sorrentino) – C’è qualcosa che non va, ma lo si sapeva dall’inizio, e ora l’unica cosa da fare è fidarsi dei comandanti. Sesta e settima lo scorso maggio, con prospettive nebulose, Lazio e Roma potevano andare a sbattere chissà dove. Invece due grandi tecnici, gli unici della A con vittorie internazionali, ci hanno fatto il favore, anzi la grazia, di venire a lavorare qui, per una sfida affascinante e pericolosa, perché non hanno le garanzie e i paracadute di altri club in cui hanno allenato: quindi la gratitudine a Sarri e Mourinho è doverosa. L‘inizio di autunno ha portato le prime sconfitte. Logiche, in un percorso di crescita. A pochi giorni dal derby, preceduto da un giovedì di campionato assai rischioso, sono partiti i primi processini. Logici anch’essi, sono parte del gioco a ogni latitudine, a parte quelle simpatiche partigianerie che fanno tanto Roma: c’è chi si è stizzito per le valanghe di elogi a Mourinho e ha atteso nel fogliame la prima scivolata per scatenare i ve l’avevo detto che non si va lontano, chi di là soffre in modo lancinante la vedovanza di Inzaghi. Roma e Lazio sono una coperta corta, e i tecnici devono ancora sistemarne la fase difensiva, l’origine dell’equilibrio generale. Ci sono problemi strutturali: a entrambe mancano almeno un regista e un paio di difensori, a Mou in particolare alternative sugli esterni bassi, a Sarri al centro.