Per De Rossi è finita la solitudine. E la pace

Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – E così nemmeno Maxime Gonalons vuole fare l’eroe in questa Roma su cui nessuno sembra disposto a giurare se non l’uomo che la sta lentamente plasmando a sua immagine e somiglianza di accorto, sapiente rastrellatore di fondi. Cioè Ramon Rodriguez Verdejo detto Monchi, abbastanza spavaldo da invitare tutti al Circo Massimo per la fine del campionato. Tanto non paga lui.

SOLUZIONI – Gonalons non vuole fare l’eroe, vuole fare il regista ed è discutibile se nel suo caso si tratti di superbia professionale o di commendevole umiltà. Se voglia dire: ho sempre giocato lì, davanti alla difesa, e intendo continuare dato che nessuno è mai tornato a lamentarsi. Oppure: questo è quanto so fare, la Roma mi ha preso per essere me stesso e io sono colui che parte da dietro e imposta l’azione, non mi costringete a inventarmi un’altra vita a quasi trent’anni. L’una e l’altra cosa riguardano lui e la sua coscienza. Onestamente, per il resto del mondo non è un fattore determinante e neppure per la Roma. La questione semmai è un’altra: se Gonalons, che è un vecchio bambino da 60 presenze nelle coppe europee, fa il playmaker, dove mettiamo Daniele De Rossi quando finisce le vacanze e torna a riprendersi le ansie del campo, l’urlo della folla, la fascia da capitano e la posizione sul terreno? E certo, sono questioni. Oppure no, niente domande solo risposte, niente problemi solo soluzioni. Se Gonalons e De Rossi vorranno farne una controversia sulla quale appoggiarsi per spezzare in due la Roma saranno liberi di provarci e chi ne ha l’autorità farà in modo di impedirlo. Oggi come oggi non c’è la minima ragione di pensarlo. Tantomeno di ritenere che l’abbondanza di possibilità costituisca una smagliatura nella precisa visione del mondo di Eusebio Di Francesco, il quale auspica una difesa a quattro, un centrocampo a tre e colui al quale tocca non tenga il muso. Il punto invece è che la Roma da anni fa i conti che non tornano con mediane dai numeri magri e tiranni. Basta un infortunio o una stanchezza per andare in debito. De Rossi in particolare era l’uomo senza ombra. Assente lui, in corpo o in spirito, e palla ai difensori dalla fantasia a raggio limitato e dai piedi poco convinti. Oppure a Leandro Paredes, ragazzo in pieno sviluppo con un certo vizio di tenersi lontano dalle scelte brucianti. Tanto che Luciano Spalletti doveva convincerlo urlando a farsi consegnare il pallone. Molto più a suo agio, l’argentino, quando passa il confine e agisce di commando nella metà campo di fronte. In tali situazioni è giocatore da invidiare a chi adesso ce l’ha.

RESPIRAREQuesta carenza di risorse era un guaio ed era un alibi. Ebbene, l’alibi non c’è più. Adesso De Rossi, 34 anni tra due settimane, può essere derubricato quando occorre da indispensabile a fondamentale. Lasciate venga a patti con i suoi polpacci che tendono a sgomitolarsi – conseguenza del tutto naturale di età e di chilometri percorsi – e che respiri quando l’ossigeno scarseggia. Gonalons è lì apposta per piazzarsi in torretta in sua vece, persino a tentare di strappargli il joypad della squadra se ne ha voglia: queste sono vicende di calcio a cui neppure i capitani di antica pratica e fresca nomina possono sottrarsi. Gestirsi con la medesima oculatezza di Monchi quando conta i risparmi e cerca il modo corretto di spenderli: De Rossi non chiede di meglio. Ha la Champions League da domare e la Nazionale da accontentare. Probabilmente un Mondiale all’orizzonte. Se pensate che la Roma sia troppo piccola per tutti e due, per lui e Gonalons, non sapete quanto sia dura là fuori

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