Negli stadi l’omaggio ad Anna Frank. Ma alcuni laziali cantano «Me ne frego»

Il Messaggero (A.Abbate) – Una pagina di civiltà, non per gli ultrà. Ma ora appendeteci queste figurine ricordo. Nell’album di questa decima giornata non ci sono colori e maglie. Siamo tutti Anna Frank col suo “Diario” stretto fra le mani. Siamo tutti ebrei fra le righe di “Se questo è un uomo” di Primo Levi sui campi del campionato di serie A. Un minuto di silenzio, di riflessione. Affinché gli adolescenti del 2017, non solo attraverso il calcio che deride la storia del popolo ebraico, sappiano davvero chi è Anna Frank.

LA MEMORIA – C’è anche un calcio che rispetta la memoria, che dice no agli orrori del passato remoto e recente. Ci sono i capitani che danno l’esempio. Prima Icardi e Quagliarella (nella serata sui campi di martedì), poi Buffon, Nainggolan, Lulic, Astori e tutti gli altri a consegnare i libri ai bambini, rappresentanti delle nuove generazioni, per non dimenticare un simbolo della Shoah. Ma anche per non ripetere mai più quanto accaduto domenica scorsa all’Olimpico, con un gruppetto di pseudolaziali – alcuni minorenni – ad appiccicare sul plexiglass delle barriere l’immagine della bambina sedicenne, morta tragicamente a Bergen-Belsen, con la maglia giallorossa. Gli Irriducibili si sentono “strumentalizzati” e disertano la trasferta di Bologna (in segno di solidarietà, gli ultras dell’Ascoli il minuto di silenzio imposto da Lega e Figc), eppure un centinaio di “cani sciolti biancocelesti” presenti cantano «Me ne frego» col braccio teso, insultati dai tifosi rossoblù.

IL MESSAGGIO – La Lazio si dissocia entrando al Dall’Ara con una maglia col viso della sfortunata ragazzina e la scritta: «No all’antisemitismo». In Curva Sud all’Olimpico – luogo del fattaccio, ironia del destino, per il trasloco della Nord punita per due giornate per razzismo – indifferenza e qualche fischio della tifoseria giallorossa, poi un coro per la Roma a coprire il passo di Anna Frank: «Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità». Allo Stadium di Torino, invece, gli ultrà bianconeri danno le spalle e intonano l’inno di Mameli durante la lettura. Assurdo voler banalizzare i “santini” in goliardia, non è ipocrisia ricordare. Perché, come dice Anna Frank: «Quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo». Per questo stavolta non si tratta di un gioco, bisogna dare un calcio vero all’antisemitismo. Perché è surreale che una vittima del nazismo divenuta tale oltre settant’anni fa, torni ancora oggi ad essere di nuovo vittima. In un campo di calcio e non di sterminio.

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