Il Messaggero (A. Angeloni) – Per una Roma “magica” ci vorrebbe un tecnico mago. Ma per sua stessa ammissione, Mou non lo è. “C’è un allenatore il cui nome basta a far pensare che si chiami José Harry Mourinho Potter e non José Felix”. Mou, insomma, non ha la bacchetta magica, non può cancellare difetti e problemi della Roma solo con la sua presenza. Non è la prima volta che José faccia riferimento al mago di J.K Rowling (è accaduto anche a Madrid), ma qui lo stessa citazione l’ha fatta Luis Enrique ben 13 anni fa. E il mago asturiano se ne andò perché non vedeva soluzioni.
Stasera, a Milano con il Milan, la Roma si presenta con il solito strascico di infortuni, con lo stesso Josè squalificato (in panchina, Foti). Contro una squadra con qualche assenza ma che Mou definisce comunque “da scudetto”. E per questo si prende del “furbo” dal suo collega Stefano Pioli.
Strategie comunicative, tutto normale. E nelle difficoltà, c’è anche chi, secondo Mou, in campo ha sbagliato più del normale. “Quando vado in partite in cui la mia sensazione per l’approccio, l’atteggiamento in campo, mi fa pensare che ho fatto bene il cento per cento del mio lavoro, mi sento tradito da qualche situazione individuale che punisce la squadra. Io non posso dire a un calciatore ‘tu non giochi più, gioca un altro’. E se lo faccio non so se con il Milan andiamo a giocare con 15 o 16 giocatori. Insomma, venerdì abbiamo fatto una riunione dura, specie per qualcuno”. Chiaro, no?