La Gazzetta dello Sport (L. Bianchin – M. Cecchini) – In fondo i club vanno capiti. Più o meno è come essere stretti in una morsa. Da un lato ci sono i freddi numeri che raccontano il calcio post-Covid e le sue malinconie, dall’altro ci sono allenatori che sono chiamati per vincere e accarezzare la pancia dei tifosi innamorati del successo.
Accade dappertutto, perciò accade anche alla Roma, stretta dal desiderio/bisogno di trattare con procuratori abili e a volte spregiudicati. Così questi, a Trigoria, sono (anche) i giorni di Mino Raiola, che ha in mano diversi giocatori che interfacciano di sicuro il presente, ma forse anche il futuro con il club giallorosso.
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Essere lusingati fa piacere a tutti, anche al portiere della Nazionale, ma il mantra di Donnarumma rimane lo stesso: mi fido di Mino. Ovvero Raiola, che è convinto di portarlo a breve in un top club a guadagnare circa 10 milioni a stagione. Paradossalmente, quello dell’ingaggio sembra essere il problema più aggirabile per la Roma (si fa per dire), se non fosse la lauta commissione che c’è da pagare al suo manager.
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Donnarumma a parametro zero, infatti, è una sorta di assegno certo per una futura eccellente plusvalenza, che la società potrebbe decidere d’incassare in qualsiasi momento. La questione, però, è che – nonostante il fascino di Mourinho – al momento il portiere ha altre idee per il suo avvenire, senza contare che lo stesso Raiola sarebbe pronto a fornire un altro estremo difensore al club, cioè quell’Areola di proprietà del Psg e nell’ultima stagione andato in prestito al Fulham.