Monchi: “Il calcio e la Roma, il mio pazzo mondo. Di Francesco mi ha rapito”

Monchi, direttore sportivo della Roma, è stato intervistato da Il Messaggero ed ha parlato anche della sua epserienza nella Capitale. Questo uno stralcio delle sue parole:

La Roma costruita da lei è incompleta…
«Se penso di aver fatto una squadra perfetta, sbaglio; ma sbaglia pure chi sostiene che sia incompleta. Ci sono tante cose che cambiano in una stagione. Alcune anche difficili da gestire. Penso che una rosa limitata non arrivi in semifinale di Champions e non lotti per il terzo posto. Detto questo, penso che tutto sia migliorabile. Parlavo col mio amico Emery, mi ha detto “voi non vi rendete di cosa avete fatto realmente”, riferendosi al dopo Barcellona. La squadra non è perfetta, ne sono convinto, ma ha tante virtù e per questo oggi siamo in un sogno».

Come si spiega la Roma in semifinale ma così lontana dallo scudetto?
«Nel calcio purtroppo o fortunatamente 2+2 non sempre fa 4. È vero che mancano punti, ma ne mancano alcuni per cattivo rendimento e qualcuno per sfortuna. L’esperienza è la madre di tutta la scienza. Noi ora abbiamo accumulato una esperienza importante. Dovete pensare che c’è un nuovo allenatore e un nuovo ds. Io sono ambizioso, ma credo che se all’inizio della stagione mi avessero prefigurato questo momento… Insomma, non possiamo restare con un pensiero negativo».

Ma cose da migliorare ci sono…
«È vero, non so se molto o poco ma qualcosa sì. Sappiamo dove abbiamo sbagliato e dove abbiamo fatto bene, ora possiamo pianificare la prossima stagione. Se restiamo fermi a riflettere solo sulla distanza dalla Juve non va bene, c’è sempre una semifinale di Champions conquistata. Quando abbiamo vinto la prima Europa League a Eindhoven con il Siviglia, abbiamo passato la notte in Olanda. Durante il volo per tornare ho detto al mio presidente “ora dobbiamo lavorare eh! Non è difficile arrivare in cima, è difficile rimanervi”».

Dove vuole portare la Roma?
«Più vicino al successo. Se arrivi tante volte vicino, vinci. Oggi lo siamo, passi indietro non ne possiamo fare. Una cosa è dire che qualcosa non è andata bene, una cosa però è dire che è tutto sbagliato».

Quanto c’è di Monchi in questa semifinale?
«Penso che nella vita poche cose sono coincidenze ma caricare il successo in semifinale sul ds mi sembra una follia».

Cosa pensa quando sente Sabatini dire che questa squadra la sente sua?
«Ma è vero. Questa squadra ha tanto lavoro di Walter. Io la parola “mia” non la uso, la Roma è dei tifosi. Se il Siviglia avesse vinto il successo sarebbe stato mio perché ne sono tifoso».

La Roma del futuro come la immagina?
«Bisogna prima di tutto sedersi e capire dove vogliamo arrivare. Anche Di Francesco ha cambiato modulo. Questo significa che proviamo a trovare la soluzione che ci alzi il livello di rendimento. Prima di tutto dobbiamo lavorare insieme senza dimenticare che sopra di noi c’è la società, che è l’unica cosa che resta. Non si prendono decisioni solo con le idee del ds e dell’allenatore, altrimenti dimentichiamo la cosa più importante, la sostenibilità della società. Oggi per fortuna non possiamo decidere qual è la rosa della prossima stagione, perché ci sono tante cose che possono cambiare. Siamo in diverse posizioni, dalla più negativa, eliminati dal Liverpool, o al terzo posto e campioni d’Europa. Cambia tutto. Prima di decidere dove vogliamo arrivare, dobbiamo capire l’idea del mister e la disponibilità della società a livello di capacità economica e di brand. Può sembrare una follia, ma il brand è decisivo».

Come nasce l’idea Di Francesco?
«Quando sono arrivato qui in Italia avevo già fatto delle scelte: pensavo che un ds straniero dovesse prendere un allenatore italiano. Quindi ne ho disegnato il profilo: uno che potesse conoscere la Roma, che avesse fame, che nel suo percorso i calciatori da lui allenati avessero fatto una crescita sportiva ed economica. Di Francesco incarnava questi principi. Ho fatto 3 appuntamenti con lui: dopo il primo ero già convinto. Un allenatore con me si ritrova a lavorare con un ds molto “matto”. Forse il miglior allenatore del mondo non potrebbe lavorare con me se non ci fosse sintonia. Per questo era importante capire la sinergia tra noi. C’è stata dal primo momento. Se non instauro un buon rapporto con l’allenatore, non si può lavorare bene. Io ho bisogno di capire che l’allenatore si fidi di me. Ora c’era bisogno di un allenatore così, un’altra volta magari servirà uno con caratteristiche diverse».

Roma e il calcio italiano sono come li immaginava?
«Oggi credo di essere cresciuto come professionista, come persona e sono contento. È vero che ho avuto bisogno di tempo per capire che il tifoso della Roma è stanco di ascoltare parole, vuole fatti. A volte dobbiamo metterci nella testa dei tifosi e capire che sono stanchi, non vogliono che uno spagnolo arrivi e dice cosa diventerà la Roma. La gente è stanca di ascoltare. Oggi per fortuna sono felici perché abbiamo fatto qualcosa».

Cosa non è ancora riuscito a fare?
«Ho avuto dal primo giorno la libertà assoluta per fare quello che voglio. È vero che è mancata una cosa, il tempo mentale. Ho sbagliato a pensare che lo stesso Monchi di Siviglia potesse funzionare qui. Una volta che ho lavorato su questo mancava tempo. Ma è stato un mio problema. Qui ho autonomia totale, parlo tutti i giorni con Pallotta. Ho autonomia ma comunico su tutto. Credo sia giusto così. Se decido di vendere, vendo. La responsabilità deve essere sempre collegata all’autonomia».

Firmerebbe per arrivare quinto in campionatoma in finale?
«Se so che vinciamo la Champions sì. Per i tifosi è meglio arrivare in finale, ma per noi è più importante conquistare la qualificazione. Sono due cose differenti: la qualificazione in campionato porta soldi per la prossima stagione, quelli che entrano per il percorso in Champions vanno in questo bilancio».

In sintesi: lo scorso mercato la Roma ha pagato l’eliminazione nel preliminare 2016 contro il Porto…
«Sì».

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