Il Messaggero – Com’è difficile importare i modelli europei in Italia

Ripensando a Luis Enrique e al suo calcio spagnoleggiante, ecco la prima domanda: nell’era della globalizzazione, della televisione che ci omologa calcisticamente, i vari campionati hanno ancora una loro identità?
Dalla prima, alla seconda domanda il passo è brevissimo: può andare bene per la Spagna ciò che funziona da noi e viceversa? Vale per Francia, Portogallo, Germania, Inghilterra, Olanda, Russia e in genere per tutti i modelli calcistici che contano. Ancelotti e Mancini si sono trovati bene in Inghilterra e non solo per le sterline. Già lievemente offensivisti, hanno dovuto modificare poco del loro calcio. Ancelotti ha cercato di tenere la palla, spiazzando inizialmente gli indigeni. Mancini l’ha buttata sulla corsa, unendo la qualità latina alla forza fisica locale. Mourinho prima di cambiare casa, va sul posto e studia storia, geografia, scienza, psicologia. E’ il più furbo di tutti, in sostanza. Arriva preparato e ti dice subito: non sono un pirla. Mai pensato, d’altronde. Modifica il suo calcio secondo latitudine e longitudine dello stadio, tenendo saldi alcuni principi di base: palla in verticale, difesa attentissima, cattiveria agonistica, unita a una rara e perfida dote comunicativa. E anche le parole, passando da un paese all’altro, mutano, non solo la musica. In Francia, il calcio del Barca andrebbe benissimo.
In campo e sugli spalti sono generosi e amanti dello show: stadio o Moulin Rouge fa lo stesso. In Olanda farebbe faville: non a caso i colonizzatori calcistici della Spagna sono partiti da Amsterdam. In Germania, dove si pratica calcio di nerbo e di scontri diretti, già troverebbe difficoltà. E da noi? Perché questo è il punto dolente e delicato. Da noi può funzionare o no? Malesani è il Lupo cattivo o rientra tutto nella nostra mentalità, che si può sintetizzare così: siccome non sappiamo attaccare, invitiamo gli altri a venire avanti per andarli a colpire nei settori scoperti. Come in trincea, insomma: fingiamo di arretrare, loro abboccano, li facciamo fessi e finisce in gloria. I Malesani sono molti, se non tutti. Di Luis ce n’è uno. E’ lui dunque il diverso. Ma è anche il buono, che non significa ingenuo. Che può fare Capuccetto giallorosso? Arrendersi? Allargare o alzare le braccia? Non ci pensa per niente e giustamente. Ha la grande, romantica, unica possibilità di migliorarci: non può mollare. Però si deve rendere conto che siamo fatti male e ci piace sfruttare il lavoro degli altri. Fossimo in lui, ci adatteremmo, cercando la normalità gestionale e di ruoli, senza dimenticare i nostri (tanti) difetti e le nostre (poche) virtù.
Il Messaggero – Roberto Renga

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