Lucescu: “Shakhtar brasiliano contro muscoli romani”

La Gazzetta dello Sport (G.Di Feo) – Domani a Kharkiv per Mircea Lucescu sarà una specie di derby. Da un lato lo Shakhtar, 22 coppe in 12 stagioni creando una gioiosa macchina da calcio, dall’altro la Roma di Cengiz Ünder, stellina in rampa di lancio della sua Turchia. E per l’occasione il c.t. romeno rimette al centro la bilancia: «Sfida equilibratissima. Se mi avesse chiesto un pronostico qualche settimana fa avrei dato favorito lo Shakhtar, ma ho visto che la Roma si è ripresa da quel brutto periodo».

E gli ucraini come stanno?
«Li avete già visti col Napoli, no? Un gruppo che gioca insieme da 4-5 anni, ha cambiato poco e sa come si giocano queste partite. Continuano a essere la miglior squadra dell’Est Europa insieme al Besiktas».

Com’è cambiato lo Shakhtar con Fonseca in panchina?
«Non è cambiato. Lui all’inizio ci ha provato ma non ha funzionato ed è tornato al vecchio sistema. I brasiliani hanno bisogno di spazi brevi, di giocare rapido, e questo modulo esalta le caratteristiche individuali. L’unica cosa che mi pare diversa è la difesa più avanzata, che rende la squadra più corta».

E la Roma le piace? L’ha vista?
«Certo, gioca bene e i momenti delicati se li è messi alle spalle. Ha uomini di livello altissimo, in Italia forse solo Juve e Napoli hanno qualcosa in più, ma dopo di loro c’è la Roma, senza dubbio. Anzi, senza quella flessione oggi forse parleremmo di una squadra da scudetto…».

Merito pure di Ünder: il suo boom ha sorpreso pure lei?
«No, sono sempre stato convinto di lui. Da tempo mi sento con Di Francesco, mi ha sempre detto che ci conta molto, ora e per il futuro. Pensate a quanto può essere stato difficile per lui: arrivi a 20 anni dalla Turchia e davanti hai il problema della lingua, un rapporto da creare coi compagni e il paragone con Salah che di fatto è arrivato a sostituire. Per emergere ha superato una pressione incredibile».

Guardiamo lo scacchiere della sfida: dove si decide?
«A centrocampo. Lo Shakhtar è rapido, superiore nel controllo degli spazi e nel possesso palla, la Roma dalla sua ha esperienza e una forza fisica nettamente superiore. Tecnica brasiliana o muscoli romani? Lì si decide».

A Roma quest’anno hanno avuto un po’ di problemi extracampo… Lei che di giocatori difficili ne ha avuti tanti, come si gestiscono?
«Con un ragazzo è semplice. Coi big l’unica via è il dialogo: far capire loro quanto l’esempio che danno è importante. E sono problemi anche della società: perché alla Juve o in altri club certe cose non succedono? Le responsabilità di comportamento sono importanti come quelle in campo, se vengono meno anche i risultati sono intermittenti. Ma nel gestire la vicenda Nainggolan Di Francesco ha fatto bene: ha rischiato un risultato, ma ha dato un esempio».

Ci parli di Fred. Il regista degli ucraini è un’altra sua invenzione.
«Lo presi dall’Internacional di Dunga e lì giocava alla Willian, esterno d’attacco. Io però lo vedevo ogni giorno: aggressivo, intelligente, intenso, gran corsa, ottimo passatore. E, partito Fernandinho, a poco a poco l’ho impostato in quella posizione. All’inizio faceva errori incredibili, aveva la mentalità della punta, pensava solo alla palla. Poi si è applicato ed è diventato il loro elemento migliore. È già pronto per il City…»

Non sarebbe il primo svezzato da lei e comprato da Guardiola…
«Con lui mi confronto spesso, sa come ho lavorato a Donetsk: a parte il talento, ho imposto l’educazione, tattica e comportamentale. Non per niente dicevano che ero un dittatore (ride, ndr ). Ora però lo Shakhtar deve fare lo stesso tipo di lavoro: dietro a quelli che giocano devono crescere altri pronti a prenderne il posto. Io e il presidente Ahmetov avevamo sposato questo sistema, formare i giovani per averne sempre di nuovi».

Con la pausa invernale come si fa? Le squadre dell’est ne escono sempre a pezzi.
«Io mi inventavo delle coppe, per dare le motivazioni a giocatori che altrimenti rischiavano di perdere. Le ho contate: 275 amichevoli in 12 anni. Servivano a prepararci e lanciare i ragazzi, una specie di campionato solo per loro: non potevo aspettare che crescessero, dovevo accelerare io la maturazione».

Dica la verità, un po’ le piacerebbe essere ancora lì.
«Mi sento ancora legatissimo a quei ragazzi, li ho trattati come figli. Tiferò per loro. Non me ne vogliano Di Francesco e Ünder, ma il cuore è lì».

Nella Turchia c’è Calhanoglu. Le piace come Gattuso l’ha rilanciato al Milan?
«Molto. Aveva bisogno di qualcuno che gli spiegasse, magari a muso duro, com’è il calcio italiano. Lo vedo più aggressivo, determinante, presente negli ultimi metri».

E se dopo Ünder la A volesse pescare ancora da voi? Ci consigli qualche ragazzo promettente.
«Caglar, centrale del Friburgo, bravissimo. Poi Yusuf e Okay, trequartista e mediano del Trabzonspor, e Kahveci, centrocampista del Basaksehir. Ragazzi di avvenire sicuro, hanno solo bisogno di continuità».

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