Corriere Dello Sport (X.Jacobelli) – Se potesse, urlerebbe al mondo: il nuovo allenatore della Roma sono io, tanto si capisce non stia più nella pelle. Ma Eusebio Di Francesco sa che cosa siano la correttezza e il rispetto: attende il rientro di Monchi, Baldissoni e Gandini da Boston, previsto per il 6 giugno e il loro incontro risolutore con Squinzi. E’ anche per questo modo di comportarsi che, dovunque sia stato, Eusebio abbia riscosso grande apprezzamento. Come qui, ad Agropoli, dove ha raccolto l’invito di Guglielmo Stendardo, suo amico da quando giocavano insieme nel Perugia, quindici anni fa. «Ma io sono venuto per Suor Paola, non per Willy», motteggia sul palco dello splendido teatro Eduardo De Filippo, sollecitato dalla verve di Pino Insegno che, conscio dell’iperlazialità della religiosa invita quest’ultima «a chiederle di tutto, fuorché della quotidianità».
I 15 MILA EURO – L’omaggio più spontaneo a Di Francesco lo tributa Stendardo: «Quando giocavamo insieme nel Perugia, ci fu un momento in cui la società di Gaucci si ritrovò in difficoltà. Gli stipendi tardavano; io stavo costruendo la mia casa ad Agropoli, dovevo pagare muratori e operai, avevo bisogno di un aiuto. Eusebio non esitò a prestarmi 15 mila euro, grazie ai quali superai le ambasce e diede anche un sostegno concreto ai dipendenti e ai magazzinieri. E quando gli ho restituito quel denaro, lui mi ha detto: grazie, ma non c’era fretta. Ecco chi è l’uomo Di Francesco». Un applauso scrosciante saluta le parole di Stendardo. Per onorare l’impegno con l’amico, Eusebio è partito all’alba da Pescara con il presidente abruzzese Sebastiani. Sul palco, l’istrionico Pino Insegno è bravo a mettere l’interlocutore a proprio agio. Eusebio si confida: «Mi domandi se, quando facevo il calciatore pensassi di diventare allenatore un giorno? La risposta è assolutamente no. Seguivo i miei tecnici, cercando di carpirne i segreti, ma il mio primo pensiero, guardandoli, era sempre lo stesso. Io devo diventare matto come loro?». Risata generale.
IL CALCIO AL PALLONE – E poi? «E poi, dopo due anni da team manager, ho gestito uno stabilimento balneare, ma il richiamo del campo è stato irresistibile. Che cosa penso quando vedo in azione i miei giocatori? Sono talmente concentrato sul lavoro che faccio, da non avere nemmeno manco la voglia di dare un calcio al pallone. L’errore più grande che possa commettere un ex calciatore, divenuto allenatore, è pensare di essere ancora un calciatore. Mio figlio Federico? Come si dice a Roma, mi ha fatto rosicare quando mi ha battuto. Ho vissuto una giornata particolare: da un lato, la soddisfazione di padre; dall’altro il rammarico per la sconfitta». La gente applaude, conquistata dalla sincerità del personaggio che ad Agropoli è legato anche per l’amicizia con Gennaro Russo, qui residente, ex compagno di giovanili. «Di amici ne ho molti in giro. Succede, se ci si comporta bene e si cerca di trasmettere agli altri questo atteggiamento. Mio padre mi ha insegnato: quando vai in giro, cerca di lasciare il tuo odore, cioè comportati sempre nel modo migliore». Di nuovo applausi. Di nuovo meritati.