La rivolta di De Rossi e tre senatori contro Totti

La Repubblica (C.Bonini – M.Mensurati) – Se si deve stare alle immagini di Francesco Totti che, livido, si congeda da Daniele De Rossi, allora si deve concludere che alle 22.30 di domenica 26 maggio una città ha definitivamente perso l’innocenza e divorziato dal suo oggetto d’amore, l’AS Roma. Messa per intero in carico alla proprietà americana, la bancarotta sportiva di un annus horribilis, di cui quell’ultimo fotogramma sembra l’epitaffio, si porta via tutto. Tutti, tranne un dettaglio. Un’inchiesa di Repubblica – che ha avuto accesso a fonti dirette e carteggi interni, compresa una mail che getta una nuova luce sul rapporto tra i due capitani – può oggi documentare un grumo di ricatti e trame di spogliatoio che dice molto non solo della Roma e di Roma, ma anche del doppiofondo del calcio professionistico. Del peso politico del club, degli appetiti che suscita, degli strumenti non ortodossi per conquistarlo. Del ruolo de campioni e delle bandiere.

“Vi faccio arrivare decimi” – In estate sono stati rispettati i paletti del fair play finanziario. Sono state fatte delle cessioni dolorose, ma l’ultimo Campione del mondo Nzonzi viene accolto come un gran colpo. Non lo ritiene, però, così De Rossi che ritiene il francese un suo doppione. E – come raccontano tre diverse fonti – chiede, anche attraverso il suo agente la rescissione del contratto. Affronta personalmente la dirigenza e in un momento di collera avvisa: “Se non risolviamo la cosa, vi faccio arrivare decimi“. Lo strappo viene ricucito, ma qualche scricchiolio è il prologo di quanto accadrà nell’arco di soli quattro mesi.

Le idi di dicembre La prima parte di stagione è ricca di altri pessimi presagi. La sconfitta col Bologna, le rimonte contro Chievo e Cagliari anche se la Roma rimane vicina alla zona Champions grazie alla vittoria nel derby ma qualcosa si è rotto. Tra l’allenatore e la squadra, tra la squadra e la società. Rappresentato all’esterno come un “gruppo stupendo e coeso“, lo spogliatoio è in realtà una polveriera. Di cui Monchi non sembra avere il sentore. La mattina del 16 dicembre Ed Lippie, preparatore atletico e uomo di massima fiducia di Pallotta, che ha appena lasciato dopo tre anni la Roma per tornare a Boston, si sistema di fronte al suo pc. Ha delle cose importanti da scrivere, che il suo presidente deve sapere. Una fronda, e che fronda, chiede tre teste: l’allenatore, il direttore sportivo e Francesco Totti. Quattro giorni prima la Roma ha perso con il Viktoria Plzen in Champions. In una lunga mail Lippie spalanca l’abisso in cui stanno sprofondando squadra e allenatore.

I senatori – Con prosa anglosassone, asciutta, spiega a Pallotta di avere ancora occhi e orecchie dentro Trigoria. Le sue fonti – scrive – lo informano regolarmente con messaggi e telefonate. E quello che raccontano è sorprendente. Spiega che i quattro “senatori“, che cita – De Rossi, Kolarov, Dzeko e Manolas – ritengono il gioco di Di Francesco dissennato, dispendioso sul piano della corsa ma misero su quello della tattica. Lamentano l’indebolimento della squadra. Il tecnico – dicono da Romaè in preda alla nevrosi dovuta al rammarico di aver accettato da Monchi un mercato inadatto al 4-3-3. Circondato da uno staff non all’altezza, vittima della sua stessa presunzione di riuscire ad “adattare” calciatori non compatibili col suo gioco. Lippie scrive che Monchi a Trigoria è visto come il fumo negli occhi. Lo vivono come un narcisista che ha riempito la squadra di giocatori per i quali vincere o perdere è la stessa cosa. Gli rimproverano doppiezza nei rapporti, insofferenza nei confronti dei giocatori di seconda fascia, capacità manipolatorie nelle informazioni in uscita da Trigoria e un mercato che non è passato attraverso una corretta due diligence.

Scacco all’ottavo Re – Se le fonti di Lippie dicono il vero la squadra soffre la presenza di Totti nel suo nuovo ruolo da dirigente. Le percezioni negative che trasmette allo spogliatoio. L’ottavo re di Roma, il suo figlio prediletto, è mal tollerato da coloro a cui ha consegnato il testimone e che pubblicamente non smettono di celebrarlo. Le fonti di Lippie chiedono che l’ex “Capitano” venga allontanato da Trigoria se necessario cacciando Di Francesco, a cui Totti è legatissimo. E sostituendolo con qualcuno che lo tenga lontano.

Gli uomini dei pizzini – Lippie svela le sue fonti che sono Del Vescovo e il fisioterapista Stefanini e indica il primo come il più convinto che la Roma debba essere “detottizzata. Pallotta trasecola e con lui i suoi soci. Monchi, Totti e la società a partire da Baldissoni e Fienga vengono informati della mail. Il ds rassegna le dimissioni, respinte, per Totti quel racconto è una ferita profonda e, dice alla società, occorre mettere mano dentro lo spogliatoio e bisogna cominciare proprio dal medico e dal fisioterapista. In quel momento, però, la Roma si deve giocare ancora tutti i traguardi di stagione e Monchi e Di Francesco sconsigliano di aprire una crisi che terremoterebbe la squadra. Si sceglie di metterci una pezza e rimandare il redde rationem coi senatori. La società chiede a Monchi un piano B che non c’è. Pallotta e la società ridistribuiscono le deleghe e nominano CEO Fienga, a Baldissoni va la vice presidenza per portare a casa il progetto stadio. La Roma entra in un tunnel da cui non uscirà più: subisce la rimonta dall’Atalanta, viene sconfitta dalla Fiorentina per 7-1 e perde male il derby. Di Francesco chiede alla società di essere mandato via se questo può risolvere quel conflitto sordo con lo spogliatoio che ormai è un segreto di Pulcinella.

Redde rationem – Dopo il ko di Champions vengono accompagnati alla porta, insieme a Di Francesco e Monchi anche Del Vescovo e Stefanini. Nessuno fuori da Trigoria si chiede il perché, ci si accontenta della versione ufficiale, quella che li vuole responsabili dei troppo infortuni. Lo spogliatoio prende le difese di Stefanini, cui De Rossi è legatissimo. I senatori si convincono che la pulizia abbia un mandante. Francesco Totti. Tra lui e De Rossi scende un gelo che durerà fino alla fine.

L’ultima curva – I modi e tempi dell’infelice addio tra De Rossi e la Roma si comprendono meglio ora. De Rossi lamenta che la società non abbia nemeno voluto discutere di un rinnovo “a gettone”; la società sostiene che sia stato Daniele ad aver cambiato idea all’ultima curva. […]

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