La caduta di Mourinho: Roma confusionaria, arriva il primo ko

La Gazzetta dello Sport (F. Bianchi) – E al settimo giorno, lo Special One si riposò. La prima sconfitta della Roma dopo sei vittorie di fila tra campionato e coppe arriva sotto il diluvio e a opera di un’ultima della classe. E arriva senza scusanti, come dice con onestà Mourinho.

Tanti attaccanti, tantissimi nel secondo round, ma tiri col contagocce. È la sintesi di una sfida che il Verona redivivo ha meritato di vincere: ha reagito, ci ha creduto e alla fine ha tenuto duro, come ai vecchi tempi. Tudor non poteva debuttare meglio: presto per dire se la sua cura guarirà tutto e tutti, ma è vero che ci ha già messo del suo, e soprattutto ha ridato ai giocatori l’antico ardore.

È stata una gara veloce, piena di gol, un paio bellissimi. Prima tattica e poi sull’onda delle energie psico fisiche. Tudor ha cominciato con lo stesso modulo e atteggiamento (uomo contro uomo) del Verona di Juric, ma con un suo tocco: facendo a meno di mediani puri. In mezzo se l’è giocata con Ilic e Bessa. E ha preso in mano la partita.

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Il problema è che Mourinho lascia volentieri possesso e iniziativa agli avversari e con quei colossi da sprint che ha davanti aspetta il momento buono, cioè la ripartenza giusta, per colpire. Insomma, la situazione migliore per Mou, che ha speso anche Shomurodov nella linea a tre dietro ad Abraham. Per dire, in un’occasione la Roma in tre passaggi è arrivata in porta. Però il Verona si muoveva bene e ha avuto qualche occasione.

La più ghiotta su una palla rubata da Lazovic (la seconda palla, il modo migliore per sorprendere la Roma) e in superiorità numerica ha pensato bene di tirare (fuori) invece che passare a un compagno smarcato. Ecco, gli errori individuali sono stati decisivi. Barak ha sbagliato tre cross di seguito, Gunter ha fatto tre lisci di fila e per fortuna Abraham era in sonno. Ceccherini ha lasciato vuoti dove Zaniolo s’infilava.

La Roma, che poi è passata al tridente, ha avuto due sole occasioni. Su una punizione di Pellegrini, Cristante ha colpito la parte alta della traversa. E venti minuti dopo Karsdorp, libero di crossare sulla sinistra (vero Ceccherini?) ha pescato Pellegrini che con un tacco delizioso ha bucato Montipò. Il magic moment di Pellegrini, il cinismo di gran qualità della Roma.

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A essere sinceri, non ci aspettavamo il rientro in campo di un Verona scintillante e credevamo più a una Roma micidiale a campo più aperto. Invece l’Hellas ha colpito duro con un veloce uno-due grazie a Caprari, il sostituto di Zaccagni. Che quando vede il rosso della Roma si trasforma: è la squadra a cui ha segnato di più.

Nel dettaglio, prima il suo preciso cross ha costretto Mancini a un intervento che non si è trasformato in autogol per la prodezza di Rui Patricio, ma Barak in agguato ha pareggiato in tap in. E poi con un gran diagonale ha ribaltato la sfida. Nemmeno lo sfortunato autogol di Ilic su cross di Pellegrini (riesce a segnare anche così) ha abbattuto il Verona che cinque minuti dopo ha sfornato il capolavoro di Faraoni: stop e tiro di controbalzo sotto la traversa. C’era tutto il tempo per la Roma di recuperare. Mourinho ha alzato il baricentro, ha cambiato via via le punte, chiudendo con un 3-5-2 mai così offensivo.

Ma anche i vari Mayoral, El Shaarawy, Perez e Mkhitaryan non sono riusciti a fare meglio di Zaniolo, Shomurodov e Abraham, l’unico rimasto in campo per 90 minuti senza mai trovare uno spunto vincente. Merito della difesa gialloblù, con un grande Dawidowicz, un Gunter cresciuto col passare e un Magnani più efficace di Ceccherini. Ma anche demerito della Roma che quando s è trovata a dover fare la partita ha attaccato a testa bassa, con poca lucidità, e cercando spesso la spizzata su lancio lungo invece che provare a trovare qualche spazio con gli scambi. E così, il testacoda si è compiuto.

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