Intrighi e polemiche: la Fifa sceglie il nuovo con i vecchi sistemi

Infantino

La Repubblica (E.Currò) – Il succo del sessantaseiesimo congresso della Fifa, battesimo ufficiale dell’era post Blatter, è tutto qui: nell’annunciato ballottaggio tra un dirigente europeo esperto della macchina organizzativa, che promette pragmatismo, e un arabo navigato, che nella stanza dei bottoni ammette di volere toccare meno bottoni possibili. In verità nei grandi alberghi di Oerlikon, il quartiere del business dove le riunioni delle 6 confederazioni calcistiche alimentano le trame della vigilia, non si respira esattamente l’aria dello scisma: del disincanto, semmai, e della consapevolezza che si sta giocando anche la partita tra Roma, Parigi e Los Angeles per le Olimpiadi 2024. Il nuovo presidente della Fifa sarà membro del Cio: anche questo può ribaltare le dichiarazioni di un voto soggetto ai tradimenti nel segreto dell’urna. Gli Usa, delegato il commissioner della MLS Don Garber, hanno accuratamente evitato di schierarsi. E’ delicata la posizione del presidente della Figc Tavecchio: il suo endorsement è per Infantino, ma il Coni di Malagò sa bene che Al Khalifa è il figlioccio politico del potente sceicco del Kuwait Ahmad Al Sabah, che al Cio potrà dirottare voti preziosi verso Roma. Il Brasile, che le Olimpiadi le ha già avute, sta per ripudiare Infantino per Al Khalifa. L’Argentina tentenna.

«Speriamo che vinca Gianni», sintetizza a nome di un’Europa in teoria compatta dietro Infantino l’ex milanista Savicevic, presidente della federazione del Montenegro. C’è tutto il senso del fatalismo che avvolge questo strano appuntamento senza Blatter e Platini, sospesi per 6 anni. Hanno lasciato la scena a candidati poco inclini a cancellarne l’eredità: soltanto il principe giordano Ali ha predicato il massimo cambiamento, ha chiesto invano il rinvio per il rischio di brogli e ha imbarcato sulla sua nave l’ex presidente degli Usa Jimmy Carter, l’ex presidente dell’Onu Kofi Annan e il premio Nobel Josè Ramos-Horta, eroe di Timor Est. Non gli basterà: ha totalmente dalla sua parte solo l’Oceania e alla prima votazione dovrebbe raccogliere al massimo una ventina di voti, che però possono diventare l’ago della bilancia, insieme a quelli delle federazioni africane, decisive quanto ondivaghe.

Già fuori gioco il francese Champagne e il sudafricano Sexwale, per vincere subito ne servono 138 su 207. Dalla seconda votazione in poi 104 saranno sufficienti. Se li contendono, al netto dei tradimenti, Infantino e Al Khalifa. Ieri, nel trionfo apparente del fair-play, le ultime gocce di veleno erano già state inoculate. Il pesante sospetto di violazione dei diritti umani per Al Khalifa, membro della non troppo democratica dinastia reale del Bahrein e accusato di connivenza col governo per l’arresto e la tortura nella primavera araba del 2011 di alcuni sportivi e calciatori della Nazionale. I 5 milioni di dollari alle piccole federazioni, rinfacciati a Infantino come prebenda elettorale dallo sceicco, che alza il mignolo con l’anello di turchese e rimprovera agli europei la prevenzione nei suoi confronti. «Qualcuno si è mai preso la briga di conoscermi davvero?». Se poi tutto finisse con l’immediata messa in pratica della separazione tra parte amministrativa e politica – Al Khalifa presidente, Infantino segretario molto operativo, ma loro smentiscono decisi – andrebbe aggiornato il motto di Totò: sono uomo di mondo, ho fatto le elezioni della Fifa.

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