Mkhitaryan: “I Friedkin sono sempre vicino alla squadra. Pallotta non c’era, ma non deve essere un alibi. Siamo pronti alla battaglia nel derby”

La Repubblica (M. Pinci) – Sorrisi leggeri e pensieri profondi. Henrik Mkhitaryan ha scelto di raccontarsi senza filtri, affrontando anche la questione del conflitto tra l’Azerbaigian e la sua Armenia.

Mkhitaryan, qual è il suo primo ricordo legato al calcio? 

È legato a mio padre Hamlet. Era attaccante, andò a giocare in Francia e lì ho iniziato a seguire le partite. È morto quando avevo 7 anni: quando si ammalò siamo tornati a Erevan e lì sono andato a scuola calcio.

Ha iniziato a giocare per lui?

Si, lui è stato il motore della mia scelta, il mio idolo e la motivazione per cui ho iniziato a giocare.

Lei per motivi politici non ha potuto giocare la finale di Europa League 2019 a Baku: da armeno non sarebbe stato al sicuro. 

La Uefa dovrebbe garantire la sicurezza di tutti i giocatori. Una finale europea è l’occasione di una volta, a volte l’unica che ti capita. E saltarla per motivi di sicurezza è davvero doloroso, come dolorosa è la guerra tra Armenia e Azerbaigian. È un diritto di ogni calciatore giocare al sicuro in ogni paese, soprattutto se ospita una finale europea.

Il conflitto del Nagorno Karabkh è scoppiato un anno prima della sua nascita: che peso ha avuto nella sua formazione? 

Non sono molte le persone che mi capiscono perché poche si sono trovate in situazioni simili. Da piccolo non capivo molto, ma poi ho studiato, anche a scuola, e ho visto cose dolorose. È incredibile che nel XXI secolo capitino cose del genere, una guerra che dura trent’anni. Fa male pensare ci siano prigionieri detenuti in Azerbaigian, sottratti alle loro famiglie da anni e anni.

Si sarebbe aspettato maggiore sostegno dal mondo del calcio?

Quando è esploso il conflitto mi hanno chiesto di convincere i calciatori a esporsi con un messaggio di sostegno all’Armenia. Ma io sono contrario a chiedere a persone che non conoscono la storia del Paese di prendere posizione. L’ho fatto io, ma solo con appelli alla pace, nient’altro.

Cosa l’ha convinta?

Era importante che il mondo si svegliasse, che qualcuno facesse sentire la propria voce. Molti hanno preferito non essere coinvolti. Ringrazio il governo italiano per il sostengo, anche Matteo Salvini, anche se la mia non è una preferenza politica. E grazie a chi ha riconosciuto l’indipendenza dell’Artskajh (repubblica proclamata dagli armeni in Nagorno Karabakh).

Da qualche giorno la Roma ha sensibilizzato i Roma Club a mettere a disposizione la loro rete per aiutare il popolo armeno…

Si, è fantastico ed è stata una iniziativa fantastica. Hanno colto la sofferenza della gente e si sono impegnati per dare un contributo. Non finirò mai di ringraziarli.

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In quel contento è riuscito a unire il calcio e lo studio…

È stato difficile: gli allenamenti a volte erano la mattina, dovevo scegliere tra quelli e andare a scuola. I miei genitori volevano studiassi molto: quanti pensano di poter fare i calciatori? Ma basta un infortunio e se non hai studiato non sai fare nulla.

Da bambino era tifoso? 

Avevo le maglie di molte squadre ma non sono mai stato tifoso. Solo verso i 10, 12 anni ho iniziato a tifare Arsenal: Wenger aveva una squadra che prendeva i ragazzi, io sognavo di giocare lì. E alla fine l’ho fatto.

Cosa ha pensato quando le hanno detto “vai alla Roma”? 

Era un possibilità per dimostrare di poter ancora giocare bene. La Roma ha creduto in me, si vede da come gioco che qui sono felice, no?

Quindi rinnoverà il contratto? 

Non c’è stato tempo di parlarne, in pochi giorni abbiamo avuto l’Inter e ora la Lazio. Presto ne parleremo.

Da quando sono arrivati i Friedkin è cambiato qualcosa? 

Sono sempre vicino alla squadra, ma il fatto che Pallotta non ci fosse mai non deve essere un alibi. Dobbiamo essere pronti ai cambiamenti, che sia il modulo o il cambio di società.

A proposito: dal cambio di modulo la squadra è più continua. 

Ha dato più fiducia ai giocatori, se vedi anche in campo come giochiamo, proviamo cose insieme. E si, l’allenatore capisce meglio di tutti se cambiare formazione o no.

Venerdì giocherà il suo primo derby: ha studiato quelli passati? 

Non mi piace guardare partite vecchie, ho sentito parlarne i compagni, ma non servono parole per spiegarlo a un calciatore. Siamo pronti per una battaglia.

Sa che quando è arrivato i tifosi hanno registrato una canzone per lei sulle note di “Felicità” di Al Bano? 

Si (ride), qui la sento ogni giorno.

La Serie A come se la immaginava?

Penso sia sottovalutata. In Inghilterra dicevano che il livello era calato molto, ma un campionato non si giudica solo per il numero degli spettatori: da subito ho notato una qualità in campo molto elevata.

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