Grazie Roma: dopo 12 anni una Coppa torna in Italia. Capolavoro di Mourinho: “Resto qui”

Corriere della Sera (L. Valdiserri) – Sono Mourinho e risolvo problemi. Siamo davvero dalle parti del Mister Wolf di Pulp Fiction quando il tecnico portoghese stringe uno a uno i giocatori della Roma che, battendo il Feyenoord nella finale di Conference League, hanno rotto il tabù che durava dal 1961, quella Coppa della Fiere che non esiste nemmeno più.

Una squadra italiana non vinceva una Coppa europea dal 2010. Era l’Inter di Mourinho, quella del triplete Champions, campionato, Coppa Italia. Fatti, non parole. Mourinho, alla vigilia, aveva chiesto di non essere più chiamato Special One. Aveva detto: vinceremo se saremo squadra, anteponendo il “noi” all’”io” e spiegando che in gioventù vivi dei tuoi successi ma con la maturità ti fanno ancora più piacere quelli di chi ti sta vicino.

E a questo gruppo — cerca di spiegare prima di essere innaffiato di champagne mentre sta facendo la conferenza stampa del post gara, proprio come Carlo Ancelotti fu annaffiato da Sergio Ramos dopo una vittoria del Real Madrid in Champions — ho detto fin dall’inizio che questa stagione poteva finire con qualcosa di grande. Un giornalista mi ha chiesto: è difficile vincere giocando bene? Io gli ho risposto: è difficile vincere. Ho fatto felice un popolo, quello dei romanisti“.

Ha un forte valore simbolico che il gol decisivo l’abbia segnato Nicolò Zaniolo. Un talento che, dopo due gravi infortuni, rischiava di perdersi. Con lui come con nessun altro Mou ha usato il bastone e la carota. L’ha lasciato in panchina nelle due partite di campionato a cui teneva di più — il derby, poi vinto 3-0, e la trasferta nella sua La Spezia —, però in Europa lo ha schierato con continuità.

Qualche spazio in più, qualche motivazione in più: è stato il miglior Zaniolo — vedi la tripletta al Bodo Glimt — e ha anche accresciuto il suo valore di mercato. È stata una vittoria controllata nel primo tempo e soffertissima nella ripresa, quando il Feyenoord ha colpito un palo (quasi harakiri di Mancini) e una traversa (miracolo di Rui Patricio). Sapersi difendere, però, è un’arte e non una vergogna. È stata anche una di quelle serate in cui sono andati bene pure gli errori.

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