Giuseppe Giannini ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, in cui ha ripercorso alcuni momenti salienti della sua carriera, ma non solo. Le sue parole:

Giuseppe Giannini, quando nasce il soprannome Principe?
“Inizio anni 80, primi allenamenti con la Roma, fu Odoacre Chierico a battezzarmi così. Principe per le movenze in campo e l’educazione fuori”.

Quando entra la Roma nella sua vita?
“Da piccolo andavo nelle Marche, a casa di mio nonno, in cucina teneva uno scudettino della Roma: è stata la rivelazione e il sentimento di identità l’ho sempre portato con me. Un privilegio, ma anche una responsabilità vissuta con orgoglio”.

Tornerà mai alla Roma?
“Non credo, non mi illudo più. Ho un solo rimpianto. Fu quando Sensi, con cui avevo avuto un rapporto duro e anche brutto, mi chiamò: “Ti rivoglio nella Roma”. Andai a parlare con il dt Franco Baldini, ma mi fece una battuta poco opportuna, dicendo che fino a poco tempo prima mi ero accompagnato con due procuratori, Morabito e Fioranelli. Ero offeso, non aveva fiducia in me: girai i tacchi e me ne andai. Forse avrei fatto meglio a parlare con Sensi e spiegargli che cosa era successo”.

A 14 anni era praticamente già del Milan.
“Andai a fare un provino a Milanello, c’erano Rivera e Galbiati. Feci bene, mi presero, mi regalarono una maglia rossonera. Pochi giorni dopo Perinetti, responsabile del settore giovanile giallorosso, disse a Viola: “Non facciamoci scappare questo ragazzo”. E Viola lo ascolto”.

Anni dopo stava per finire al-la Juventus. 
“Boniperti mi adorava, una volta mise sul piatto 20 miliardi di lire, ma Viola disse di no. Poi nel 1996, quando lasciai la Roma, mi offrirono un anno di contratto. Rifiutai e andai allo Sturm Graz”.

Lei è stato l’idolo di Totti.
«Sì, aveva il mio poster in camera. Fu mio padre Ermenegildo a scovarlo, stava alla Lodigiani e lo portò alla Roma. In ritiro dormiva in camera con me, anzi, l’ha raccontato lui (ride), nemmeno dormiva per l’emozione. L’ho tenuto sotto la mia ala, come aveva fatto anni prima Falcao con me. Credo di avergli dato una piccola mano a muoversi nell’ambiente. Un giorno sua madre, Fiorella, mi fermò fuori da Trigoria, per dirmi che Francesco voleva comprarsi una Golf GTD. Era preoccupata. “Mi sembra presto…”. Io risposi: “Signora, lo lasci fare…”. A quei tempi giravo in Ferrari. Un’altra volta Fiorella mi chiese se potevo andare a salutarlo nel locale dove festeggiava i 18 anni. Scesi dall’aereo e ci andai, ero appena tornato da una trasferta con la Nazionale. A Francesco ho voluto bene”.

Il suo idolo invece chi è stato?
“Gigi Riva. Da bambino ho iniziato da ala sinistra e lui era un mito”.

Con la Roma 15 stagioni e 3 Coppe Italia, ma lo scudetto no.
“Ho vissuto il mio tempo, in una Roma di transizione tra il 1983 e il 2001. Il tricolore l’ho sfiorato nel 1986, l’anno di Roma-Lecce 2-3. Quella resta la squadra più spettacolare dell’epoca recente”.

In maglia azzurra ha vissuto le Notti Magiche. Se chiude gli occhi cosa vede?
“Ricordo la notte di Napoli, quando in pullman tornammo a Marino dopo l’eliminazione con l’Argentina. Pensavamo ci aspettasse la contestazione. Invece per strada la gente sventolava le bandiere. Un entusiasmo incredibile, inatteso”.

Come giudica il suo percorso da allenatore?
“Tribolato. Nelle piazze dove ho potuto fare il mio lavoro, ho fatto bene, come a Gallipoli, con la storica promozione in B e nei due anni da ct del Libano. La verità è che spesso ho incrociato dirigenti farabutti e società senza soldi. Una volta mi chiesero persino di fare da sponsor”.

Cosa fa oggi?
“Ho una scuola calcio a Marino e un locale a Porto Rotondo, lo seguono le mie figlie. Spero un giorno di riuscire a scovare un talento, come capitò a mio padre con Totti”.

Ma è vera questa cosa che aver perso i capelli non le va giu?
“Ma no, altrimenti mi farei il trapianto. È che pure qualche romano fatica a riconoscermi. Un tipo una volta mi fa: “Ao’, Zingaretti..”. Poi mi guarda meglio…”.

In che giocatore si rivede oggi?
“Mi piace molto Reijnders, per la pulizia del passaggio e l’inserimento in area avversaria”.

Chi è stato il più forte con cui ha giocato?
“Toninho Cerezo, Er Tappetaro. Sempre allegro, un fuoriclasse. Abitava all’Eur e veniva a Trigoria con la bici da ciclista. Scendeva, infilava le scarpe da calcio, si allenava, risaliva in bici, (ride) no la doccia non la faceva, e tornava a casa. E quando era buio si faceva seguire dalla moglie in macchina, così gli illuminava la strada. Prima della partita mangiava una bistecca gigantesca con due uova, noi pasta in bianco. Girava col cuscino, si accucciava e dormiva ovunque. Uno dei primi giorni si presentò al campo con delle scarpe da calcio in jeans. Le aveva prese chissà dove in Brasile, ci voleva convincere che con quelle giocava meglio…».