Edin tenero, Luciano furbo: 16 mesi per non capirsi

Corriere dello Sport (R.Maida) – Due parole decisive: «furbo» e «ancora». Non sono insulti, anzi Spalletti ha accettato con un sorriso il labiale scovato tra i pensieri di Dzeko, ma spiegano molto della reazione vulcanica di un giocatore silente. Non è stato un episodio, una sostituzione comunque sgradita, a sobillare la lava di Dzeko. Dietro ci sono distanze ideologiche lunghe quasi un anno e mezzo. Niente di così grave, in un comune luogo di lavoro, dove non sempre le scelte del sergente piacciono al soldato e viceversa, ma comunque situazioni che si sono accumulate fino al punto di non ritorno.

APPROCCI – Spalletti ha preso in pugno la Roma nel gennaio 2016 e nella prima conferenza stampa, alla vigilia del debutto contro il Verona, disse una frase molto importante: «Se avessi potuto chiedere un attaccante ai miei dirigenti avrei indicato Dzeko: ora ce l’ho, quindi sono contento». Già ma il feeling tra i due è durato poco perché Dzeko, per sua stessa ammissione, giocava male e perché Spalletti non è riuscito a recuperarlo in una stagione resa complicata anche dai problemi fisici. In primavera sono cominciate le prime frecciate in sala stampa da parte dell’allenatore che a marzo, dopo averlo schierato titolare a Udine ottenendo in cambio un gol prezioso, lo mandò in panchina per tre volte di fila. E di lì in poi lo avrebbe schierato dall’inizio una sola volta, contro l’Atalanta, quando Dzeko sbagliò diversi gol facili e uscì praticamente di scena.

SVOLTA – L’estate sembrò produrre un cambiamento. Dzeko si presentò in ritiro a Pinzolo tirato a lucido, dimagrito e già allenato. Svelò ai dirigenti di voler rimanere alla Roma per far ricredere tutti i critici, a cominciare dall’allenatore. Segnò subito a raffica nelle amichevoli montanare e nella tournée negli Stati Uniti. E così Spalletti annunciò: «Quest’anno useremo Dzeko, non come nello scorso campionato». In effetti è accaduto proprio questo. Parlando di Serie A, Dzeko ha giocato tutte le volte. In 29 casi su 33 è partito dal primo minuto e in 24 occasioni è stato in campo dall’inizio alla fine. Fanno eccezione, prima del virulento cambio di Pescara, le sostituzioni contro Palermo (80’), Torino (89’), Empoli (73’) e Bologna (85’), tutte arrivate a vittoria già acquisita, proprio come nel caso di lunedì.

SCREZI – Lo stesso Dzeko ha cominciato a stimare professionalmente Spalletti, «che mi ha insegnato i movimenti in profondità». Però il rispetto non è bastato a riallacciare l’intesa umana. Spalletti ha continuato a pungere, rimproverando a Dzeko di essere «poco cattivo» e più recentemente a Bologna dopo un gol e un assist andò sull’argomento senza che nessuno lo sollecitasse: «Edin deve fare di più per la squadra». Dall’alto dei suoi tantissimi gol, Dzeko pensava di meritare coccole più che rimostranze. Ma forse il vero problema, a proposito dell’aggettivo «furbo», è legato all’incertezza sul futuro. Ad alcuni giocatori della Roma – a questo punto è lecito pensare che Dzeko sia tra loro – non piacciono i cambi di rotta pubblici di Spalletti a proposito dell’eventuale rinnovo contrattuale. Molti erano sicuri del suo addio, adesso non lo sono più. Al capo viceversa non è piaciuto che Dzeko abbia anticipato alla stampa, e quindi ai tifosi, che la conferma non fosse necessariamente vincolata ai risultati. Forse i malesseri inconsciamente hanno inciso sulla rottura di Pescara. Pochi minuti prima del cambio, Spalletti aveva dato un pugno alla panchina perché Salah invece di concludere in porta aveva servito Dzeko con l’intento di fargli segnare il gol del record. Quando ha capito che la squadra si stava concentrando più sul singolo che sul gruppo, ha ritenuto di dover intervenire.

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