“Chiamatemi Micki”, l’antistar per eccellenza

Henrikh Mkhitaryan ha tutto per far innamorare di sé la gente romanista. I recenti numeri contro Italia e Bosnia (di Dzeko) hanno creato la potente premessa dell’afflato. Accolto con freddezza da Londra, nome impronunciabile (quasi una provocazione), nessun tatuaggio o occhiale di tendenza. La negazione della star. “Chiamatemi Micki” ha detto con eleganza. Micki l’armeno farà innamorare i romanisti per lo scarto clamoroso tra il qualunque indifferenziato della sua faccia e il talento grandioso dei piedi. Primo armeno nel calcio italiano, a 7 anni perse il padre Hamlet, famoso attaccante con trascorsi nel calcio francese, che morì per un tumore al cervello. Poteva annichilirsi nel dolore e invece Micki ha scelto di perseguire il sogno, nella stanza del lutto ha costruito la sua storia. Tecnica, velocità, scaltrezza, visione e pensiero rapido, sa sempre dove andare e lo sa prima degli altri. Sembra l’ideale per il calcio insinuante di Fonseca, Micki assiste e determina. Parla sei lingue, ha imparato a essere divo senza bisogno di esserlo fuori. Nascere armeni ti consegna a una memoria indelebile e a una storia speciale, è bello pensare che a Trigoria possa legare con i due giovani turchi, che nel suo popolo sono il ricordo di un’odiosa persecuzione. Ha saltato l’ultima finale di Europa League a Baku per via delle tensioni tra armeni e azeri. Facciamo che la Roma gli regali una seconda possibilità. Lo scrive il Corriere dello Sport.

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