«Sappiamo dov’è tuo figlio, mandiamo due aute piene di armi»

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Il Tempo (I. Cimmarusti) – Era come giocare col fuoco. Raccogliere denaro da criminali serbi legati alla ‘ndrangheta, per combine «fasulle». «C’ho provato», assicura nelle intercettazioni Mauro Ulizio, vero dominus del Pro Patria. Al boss degli scommettitori balcanici Uros Milosavljevic, spaccia per buono l’incontro della sua squadra con l’Albinoleffe, per intascarsi 60mila euro. Un errore che rischia di diventare fatale. «Due macchine con otto persone e cariche di armi» giungono dalla Serbia: «Sappiamo dov’è tuo figlio».

Spaccati di violenza che emergono dal vasto incartamento giudiziario della Procura della Repubblica di Catanzaro, nell’inchiesta sul calcioscommesse. Gli investigatori del Servizio centrale operativo della polizia di Stato, al comando di Renato Cortese, hanno fatto luce su una ramificata compravendita di incontri di calcio di Lega pro e Lega nazionale dilettanti. Non mancano le infiltrazioni nel torneo di Serie B e Coppa Italia, oltre a interessi sotto indagine sulla massima serie. Ma a destare preoccupazione è anche il tessuto criminale (non solo di ‘ndrangheta e serbo ma anche di personaggi di Malta, come i fratelli Adrian e Robert Farrugia) che si sarebbe nutrito della corruzione sportiva di presidenti di club, dirigenti sportivi e calciatori.

LA COMBINE TAROCCA

E così, c’è chi avrebbe tentato di rifilare una truffa. Ulizio, stando agli atti investigativi, vende una partita del Pro Patria senza averla, nei fatti, manipolata. Lo riferisce con linguaggio colorito ad Adolfo Gerolino, ex calciatore del club: «C’ho provato, vaffanculo! Dopo il primo tempo, ho visto come si mettevano le cose, ho detto “minchia, qui un’altra caterba di gol”». La vicenda è ben riassunta dallo stesso Ulizo in una telefonata con Marcello Solazzo, uno degli indagati. L’uomo racconta che «al primo tempo è andata sull’1 a 0, no?…quasi subito…. prima, no? quando stavamo vedendo la partita gli ho fatto mandare il messaggio da Bianca, capito?… ho detto: “cazzo vaffanculo, gliela baro!”… capito?… invece, cazzo, non hanno più segnato, puttana di Eva!». «Minchia!… e ora?, risponde Solazzo. «Eh – dice l’interlocutore – domani vediamo!… che cazzo, oh!… vaffanculo, mi servivano i soldi!». Stando all’interpretazione investigativa, «Ulizio spiegava al socio che nel corso del primo tempo della partita Albinoleffe-Pro Patria e, precisamente al 22 minuto dopo che la Pro Patria aveva subito il primo goal su rigore, aveva ben pensato di far inviare un messaggio, per il tramite di Bianca, a Uros, con il quale spacciava la partita per alterata e spingeva il serbo a scommettere 60mila euro».

«VUOI FARE LA GUERRA?»

Tuttavia c’è poca preoccupazione tra i dirigenti corrotti. Anche quando, alcuni giorni dopo, sul telefono di Solazzo giunge un sms inviato da Milosavljevic: «Vuoi fare la guerra?». L’uomo, infatti, pretendeva la restituzione della somma. Della vicenda Ulizio ne parla col suo collaboratore indagato Massimiliano Carluccio. «Vengono prima da te», dice quest’ultimo, con Ulizio pronto a dare tutta la responsabilità a «Bianca»: «Quando arrivano gli dico: Che cosa? … che cazzo! ma siete pazzi? … ma che casso dite? … io non so niente di quello che state dicendo! … è stata lei (ride)…». «Fai ammazzare lei, fai ammazzare… che cazzo te ne frega!», risponde Carluccio.

I L FIGLIO DI ULIZIO

Ma se le parole dei due hanno, probabilmente, un tono scherzoso, dall’altra parte della barricata i serbi si preparano per giungere in Italia. Scrivono gli investigatori: «A Ulizio arriva notizia che i “compari” stranieri avevano mantenuto la promessa ed erano arrivati in Italia, intenzionati a riscuotere il credito che vantavano nei suoi confronti». Inoltre, conversando con Solazzo, il dirigente del Pro Patria scopre la reale «portata intimidatoria delle pretese dei serbi». A «dire di Solazzo sapevano» dove si trovata Andrea Ulizio, calciatore del Pro Patria: «Sanno che tuo figlio si allena qua, in Sardegna, e che vogliono trovare Max (Massimiliano Carluccio, ndr) e me… sono venuti subito a dirmi queste cose». Il timore di Ulizio si trasforma in rabbia: «Se sento di nuovo… guarda ho il telefono sotto controllo io no?… se sento di nuovo il nome… nominare mio figlio… io vengo li… sparo in bocca a tutti… non me ne frega un cazzo… a te, a Dennis, ai Serbi a tutti quelli che cazzo si permettono a mettersi in bocca il nome di mio figlio, non sto scherzando».

LE DUE MACCHINE

E’ Fabio Di Lauro, ex calciatore, a mediare con i serbi. L’incontro terrorizza l’uomo. «Erano in otto… due macchine niente da perdere… dentro… cioè… delle cose abbastanza grosse (armi, ndr) e per una cazzata, cioè nel senso che è una cosa che si può risolvere cioè…ehm…che glielo detto io…tra dieci giorni c’è una situazione quanto recuperate? Quanto hai perso?…finisce lì…». Dagli atti non emerge come la vicenda sia risolta. Sta di fatto che lo stesso Di Lauro precisa in un sms, come riassunto dagli investigatori, che era necessario «mostrare rispetto nei confronti dei complici stranieri che venivano ricollegati, per amicizia e vicinanza, a personaggi della ‘ndrangheta.

LA FOTO DELL’ALLENATORE

Altro capitolo di violenza, sempre per una combine non andata a buon fine, riguarda l’incontro Aversa Normanna-Barletta terminata 0-1, sulla quale c’erano state le scommesse di due personaggi di Malta, i fratelli Adrian e Robert Farrugia, che avevano versato denaro di uno scommettitore cinese. I soldi vanno persi. Così, partono le minacce: una foto del mister del Barletta, Ninni Corda, viene inviata. Un «modo per intimidire», ritengono gli investigatori.

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