Tra bottiglie e cartelli, la sfida a Juve e cliché

Corriere dello Sport (R.Maida) Slogan, sorrisi, emozioni, mimica. E il messaggio in una bottiglia. Nel salutare con rispetto il pensionando Totti, Monchi si intenerisce e afferra la bottiglia d’acqua che gli sta davanti avvicinandola al petto come fosse un bebè da cullare: da novizio, lo vorrebbe accanto anche da ex calciatore come rivelatore di angoli nascosti della mentalità romanista. E’ l’atto più umano e insieme duro della prima conferenza stampa del direttore sportivo venuto dal Siviglia. Nessuno meglio di lui può capire le ansie di Totti dopo 29 anni trascorsi nello stesso club, che saluta a distanza senza nascondere gli occhi lucidi. E nessuno meglio di lui, in questo momento storico, poteva annunciare l’addio al calcio di Totti con semplicità e naturalezza assolutamente fragorosi.

CHIARIAMO – Quasi un’ora di parole, traduzioni comprese, anticipate dalle scuse alla stampa italiana che per mesi lo ha inseguito senza beccarlo mai. Monchi scandisce bene i discorsi con la sua voce acuta, per non essere equivocato. Alterna le pause sceniche ai momenti serrati, da bravo padrone del palco. E’ un umile presuntuoso, se possiamo avvalorare l’ossimoro. Umile quando svela di non aver brevettato il sistema per vincere, non ritenendosi la guida spirituale dei direttori sportivi e tantomeno il Re Mida (copyright Sabatini) della materia. Presuntuoso quando, berlusconianamente e bonariamente, parla di sé in terza persona. Anzi, in terzo… soprannome perché si chiama Monchi anche da solo.

GARBO – E’ attento ai singoli vocaboli che calibra con grazia. E certi motti sembrano studiati a tavolino per rimanere impressi: i tifosi non dimenticheranno mai quel suo disegnare con le mani un rettangolo che rappresenta il cartello di una società che intende vincere e non vendere. Al supermercato Roma non ci saranno «intrasferibili» ma neppure cessioni disperate. Il suo è un piano di battaglia ambizioso a dispetto dei santi, cioè dei soldi, visto che alla mancanza di «dinero» ritiene di poter rimediare con la spinta delle idee. E’ altrettanto accattivante il suo «vi racconto una storia» attraverso cui svela la stima incondizionata per Spalletti, infilato nella lista dei motivi che lo hanno convinto a scegliere la Roma a costo di risultare paradossale: ma come, si potrebbe obiettare, arrivi in una nuova squadra e nemmeno decidi chi sarà l’allenatore?

LEADERSHIP – E’ lo stile Monchi: «trabajo» senza il «sudor» che a Trigoria riporta alla mente la stagione delle 16 sconfitte di Luis Enrique. Il lavoro quotidiano, in osmosi con gli altri dirigenti ma in autonomia nella sua area di competenza, è tutto ciò che promette ai nuovi tifosi che, secondo un altro slogan magnetico, «meritano di realizzare i propri sogni». E però si lascia scappare, e questa sembra una concessione spontanea all’ego, che non avrebbe lasciato Siviglia, «mi casa», se non per vincere. Ha sposato la filosofia della Roma perché è anche la sua: non gli piace vincere facile, gli piace addentrarsi nella sfida «difficile e non impossibile» di battere i rivali più ricchi e forti, magari dirottando gli interessi su percorsi meno impervi come ha compreso per tempo a Siviglia, rinunciando alla Liga per divertirsi in Europa. E’ proprio questo atteggiamento di aggressività naturale verso lo status quo, oltre al curriculum di plusvalenze, ad aver conquistato Baldini prima e Pallotta poi: nella sua prima recita romana, l’attore Monchi ha dato l’idea di conoscere a menadito le regole dello spettacolo

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

I più letti