Premier, un altro mondo: +32% in un anno

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La Gazzetta dello Sport (M. Iaria) – La Premier League si conferma su un altro pianeta: 3,9 miliardi di ricavi nel 2013­14, con un sensazionale +32% per effetto del nuovo ciclo di vendita dei diritti tv. Segue la Bundesliga a quota 2,3 miliardi, in aumento del 13%. Quindi la Liga a 1,9 e la Serie A a 1,7, pressoché stabili: +3% e +1%. Nel caso degli spagnoli, l’incremento è dovuto ai proventi Uefa delle finaliste Champions della passata edizione, Real e Atletico. Questo significa che, a differenza delle massime divisioni inglesi e tedesche, la crescita dei due Paesi mediterranei si è arrestata, a causa della mancanza di adeguate strategie collettive. E occhio alla Ligue che, con un +15%, sale a 1,5 miliardi di entrate. È la lettura che emerge dall’ultimo Annual Review of Football Finance di Deloitte, fotografia dello stato di salute delle principali leghe europee. Che continuano a crescere tutte, in termini di fatturato, ma a differenti velocità. Il miglior prodotto resta quello della Premier, che attrae investitori da ogni angolo del mondo: 11 club su 20 hanno proprietari stranieri e quegli stessi recano tutti sulle maglie sponsor d’oltremanica. In futuro il gap con le altre nazioni si dilaterà ulteriormente visto che i diritti tv domestici del triennio 2016­19 hanno fatto segnare un balzo del 70%. Ma il successo inglese non è nato per caso: nel 1992 fu avviata una martellante operazione per esportare il marchio Premier in tutto il mondo. I tedeschi si sono attivati più tardi, sull’onda del Mondiale 2006, e con un dna più territoriale. Risultati ugualmente lusinghieri.

ITALIA-SPAGNA Juve­Barcellona è anche Italia­Spagna. Dietro la cavalcata delle finaliste di Champions ci sono sistemi calcistici diversi ma per certi versi simili. Diversi perché il duopolio Real­Barça è un unicum: in due valgono oltre la metà del giro d’affari del campionato spagnolo, che economicamente parlando sopravvive grazie al fascino del Clasico. Simili perché entrambi hanno peccato in questi anni di politiche centralizzate: anzi la A, specie con i recenti impulsi, è un passo avanti rispetto alla Liga. Per questi e altri motivi si può affermare una cosa: chiunque vinca a Berlino non sarà il trionfo di un movimento. In Spagna, peraltro, vige ancora il regime individuale di vendita dei diritti tv (dal 2016 si cambia): il rapporto tra prima e ultima, in termini di introiti, è di 7,4/1 contro il 5,3/1 della A, il 2/1 della Bundes e l’1,6/1 della Premier. Queste ultime due sono avanti anche per redditività (le uniche a registrare profitti operativi: 250 milioni per la Bundesliga e 767 per la Premier) e presenze negli stadi (42.600 in Germania, 36.700 in Inghilterra, 23.000 Italia e 25.300 Spagna). Spiega Dario Righetti, partner Deloitte: «Il calcio italiano rimane fortemente dipendente dalle entrate dei diritti televisivi, che col 59% rappresentano il valore più alto tra le 5 leghe. In futuro risulterà fondamentale diversificare le fonti di ricavi puntando a massimizzare le entrate da stadio e attività commerciali. Alcune società italiane si stanno muovendo bene, realizzando nuovi stadi o ristrutturando le strutture esistenti: lo Juventus Stadium e le attività connesse realizzate permettono di dire che la Juve rappresenta il club più in linea con le best practice europee».

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