Stadio, progetto ribaltato. Ecco come cambia

Il Corriere della Sera (A.Arzilli) – Seicentomila metri cubi di cemento di cui due terzi destinati a opere «private». Al posto delle tre torri progettate dell’archistar Daniel Libeskind ci sono tre palazzine di 6-7 piani che vanno a sommarsi alle altre 15 già sulle carte. Il Business park è sforbiciato del 59% del volume, mentre il taglio complessivo è del 48%. L’impegno «pubblico» dei proponenti, la Roma e Parnasi, cala di 130 milioni di euro rispetto ai 440 previsti sulla delibera Marino. E, in più, il ponte carrabile sul Tevere e la «bretella» sulla Roma-Fiumicino potrebbero essere realizzati in un secondo momento: su questa soluzione stanno lavorando i tecnici del Comune coordinati dall’avvocato Luca Lanzalone. I numeri del «nuovo» progetto su Tor di Valle danno il quadro dell’accordo politico tra Campidoglio e proponenti. Sul piano tecnico, però, la quadra deve ancora essere raggiunta. Ed è elemento determinante: la Regione rimanda alla Conferenza dei servizi la valutazione nel dettaglio della riorganizzazione delle opere pubbliche, cioè il motivo del pubblico interesse espresso dalla delibera del dicembre 2014 su cui l’iter è stato incardinato. Non è ancora fatta. Eppure: «Una vittoria di Raggi», dicono gli esponenti più in vista del Movimento.

I problemi per Raggi arrivano dalla base M5S e dai suoi consiglieri resilienti «anti-stadisti». Al momento del voto, venerdì, la maggioranza non si è infatti mostrata compatta: Maria Agnese Catini, Alessandra Agnello, Alisa Mariani non erano per l’accordo con la Roma, erano su posizioni più «berdiniane»; mentre Gemma Guerrini e Cristina Grancio hanno preferito astenersi dal voto, un modo per prendere le distanze da un patto evidentemente non in linea con i loro principi. La Grancio ieri si è sfogata su Facebook: «Chi ha vinto? E che cosa si deve fare? In politica nessuno asfalta nessuno, ma il sospetto di un pareggio che accontenta tutti, mi viene», ha scritto lei che ha partecipato alla trattativa con i proponenti. Segnale (ennesimo) di un malumore interno che non passa. E che mette a rischio i vari step per completare l’iter: ora si lavora su una nuova delibera che possa modificare quella Marino restando comunque nel vecchio iter. L’Assemblea dovrà votarla e agli equilibri interni al M5S potrebbe sommarsi il disagio del Pd che, dopo aver portato avanti per quattro anni la causa della Roma, si è sentito scaricato dall’accordo con Raggi. È anche possibile che, dopo la proroga di 30-60 giorni che domani chiederà la Roma, si debba passare da una nuova Conferenza dei servizi. E il transito in Aula di nuove delibere provoca nella sindaca un brivido sinistro.

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