Scaglia: “Da sempre sono un tifoso della Roma. Quest’anno meriteremmo di portare a casa un trofeo”

SCAGLIA

Salvatore Scaglia, team manager della Roma, è stato intervistato dall’AS Roma Match Program (F.Viola). Queste le sue parole:

Partiamo da quel giorno impresso nella memoria dei tifosi giallorossi per sempre… Roma-Parma 17 giugno 2001. Il team manager sulla panchina gialloblù era Salvatore Scaglia, oggi siede sulla panchina della Roma. Che ricorda di quel giorno?
“Fu una sensazione particolarissima. Già in albergo il giorno prima mi sono venuti a trovare dei tifosi che sapevano della mia fede romanista. Siamo arrivati un’ora e mezza prima allo stadio e lungo la strada abbiamo incontrato una marea di gente con la sciarpa al collo. Siamo usciti a fare l’usuale sopralluogo sul campo e siamo stati sommersi da una bordata di fischi. Ci saranno state centomila persone e vi assicuro che tutte quante ci hanno fischiato. I calciatori erano impressionati. Thuram, un calciatore che aveva alle spalle già una carriera importante, mi disse che non aveva mai visto nulla del genere. Solo Cannavaro e Buffon ebbero una buona accoglienza… si vociferava un loro passaggio alla Roma. Era una squadra talmente forte che non avrebbe potuto perdere quello scudetto”.

Cosa è accaduto al doppio fischio finale?
“Alla prima invasione di campo a cinque minuti dalla fine sono stato l’unico a rimanere seduto in pan-china… poi a fine gara sono sceso con i calciatori negli spogliatoi, ho espletato tutte le procedure e ho accompagnato la squadra a Ciam-pino fino alla scaletta dell’aereo, ma poi sono rimasto a Roma a festeggiare. In quel periodo non avevo casa a Roma, con dieci amici siamo andati a fare i caroselli”.

Come mai è tifoso della Roma?
“Lo sono da sempre, Roma è la mia città nonostante mio padre sia stato un diplomatico e quindi ho girato il mondo da bambino. Però ho vissuto a Roma per 5 anni, sono arrivato a 10 e quelli sono stati gli anni in cui ho consolidato la mia fede calcistica”.

C’è qualche episodio curioso che ricorda?
“Nei miei ricordi di bambino c’è la finale di Coppa dei Campioni… l’ho vista in diretta dalla Costa d’Avorio. Oppure la vittoria della Coppa Italia del 1979/80 quando sono andato allo stadio direttamente dopo aver preso lezione di tennis, avevo con me la racchetta e l’inserviente all’ingresso me la fece lasciare dietro una pianta. Alla fine vincemmo la coppa e ritrovai anche la racchetta. Oppure, quando già ero al Parma, noi giocammo a Verona, io fra mille peripezie presi una macchina fino a Bologna e poi riuscii a prendere al volo l’aereo per Roma. Entrai all’Olimpico al primo gol di Montella. Il famoso derby dei quattro gol di Vincenzo. Avevo ancora addosso la divisa del Parma, con sopra il cappotto. Un derby indimenticabile”.

Quanto ha lavorato nel Parma?
“Sono stato a Parma molti anni. Ho vinto molto con loro, due Coppe Italia, due Supercoppe e una Coppa Uefa. Nella stagione in cui abbiamo conquistato Coppa Uefa e Coppa Italia avremmo potuto vincere anche lo scudetto se ci fosse stato l’ambiente giusto… tipo Roma e Milano”.

Nel 2006 è passato alla Roma, come è successo?
“Mi chiamò l’allora DS Daniele Pradé. Quel giorno per due volte squillò il mio telefonino e non arrivai in tempo, al terzo tentativo ci siamo trovati”.

Quanto tempo ha impiegato per accettare?
“Un secondo! Io lavoravo a Milano quel periodo, ma il richiamo del calcio fu troppo forte! Poi andare a lavorare per la mia squadra del cuore è stata la realizzazione di un sogno. Io sono un uomo fortunato e privilegiato: fortunato perché lavoro in un campo che è la mia passione, privilegiato perché è anche la squadra per cui faccio il tifo”.

Quale ruolo ha il team manager? Il suo compito?
“Per prima cosa mi piace dire che il team manager non è colui che alza il tabellone delle sostituzioni durante la partita! Quello è l’aspetto più ludico del mio lavoro. Bisogna prendere uno shaker e mettere dentro un organizzatore, un confidente, un risolutore di problemi, un diplomatico, un osservatore… dal mix di tutte queste componenti viene fuori il team manager. Il tutto condito da una grande dose di equilibrio”.

In questi anni ha lavorato con tanti allenatori… ci dà due parole su ognuno?
“Certo. Prego”.

Spalletti.
“Il mio primo allenatore alla Roma. Troppo semplice parlare delle capacità tecniche. Non posso non volergli bene”.

Ranieri.
“Un signore che qui a Roma non è stato fortunato. Peccato”.

Montella.
“Sta già facendo bene a Firenze, diventerà uno dei più grandi allenatori italiani. Mi stupì il fatto che quando passò repentinamente dalle giovanili alla prima squadra, già lavorava con la tecnologia dei grandi club”.

Luis Enrique.
“Una bella persona. Un grande lavoratore, che però sapeva ridere e scherzare al momento giusto”.

Andreazzoli.
“Uno zio portatore di sani consigli. Sono stato contento che abbia potuto far vedere il suo valore in quei mesi che prese in mano la prima squadra. Se la finale fosse finita diversamente…”.

Zeman.
“Mi incuriosiva conoscerlo. Ho scoperto essere una persona molto gradevole con delle idee del calcio molto precise”.

Infine, Garcia.
“Un personaggio particolare. Siamo subito entrati in sintonia. Ha una tipologia di lavoro bella e stimolante. Un uomo che ti dà fiducia, ti permette di gestire le cose in autonomia, ma se sbagli difficilmente dà una seconda possibilità”.

Che partita sarà domenica?
“Incontrare le cosiddette piccole è sempre pericoloso. Infatti più una squadra è data per spacciata meno c’è da fidarsi. Noi a Cagliari abbiamo dato un segnale importante, ma siamo chiamati a confermare che la strada intrapresa sia quella giusta”.

Cosa si aspetta da questa stagione?
“Non posso non essere in linea con quello che ha detto l’allenatore: meriteremmo di portare a casa un trofeo”.

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