Corriere dello Sport – La Roma medita l’addio alla Borsa

Squeeze out. E che è? Proponiamo quattro possibili risposte: A) l’evoluzione, nel terzo millennio, del wash out, l’ormai leggendaria dieta zemaniana; B) l’obbligo, per una società quotata in Borsa, di uscirne nel momento in cui i proprietari di maggioranza abbiano nelle loro mani il novantacinque per cento delle azioni; C) un nuovo videogioco che tiene compagnia ai giocatori nei ritiri precampionato; D) ti tocchi, giusto per ricordare con inalterato sorriso la straordinaria Sabina Guzzanti che imitava Moana Pozzi in un fortunato programma televisivo di qualche anno fa.

USCITA – La risposta esatta è la B e ci rendiamo conto che non è che ci volessero gli eredi di Einstein per individuarla. E la risposta, nei prossimi mesi, potrebbe essere di grande attualità per la Roma, una delle tre società calcistiche italiane presenti nel listino di Piazza Affari, quotata nel 2001 per un incasso, da parte della vecchia proprietà, di trecentotrenta miliardi di vecchie lire. Una risposta che vorrebbe dire che la società giallorossa potrebbe uscire dalla Borsa. Cosa molto probabile e che potrebbe diventare obbligatoria nel caso, appunto, che nelle mani della proprietà americana (60%) e Unicredit (40%) si concentrasse un numero di azioni superiore al novanta per cento. La legge dice che alla soglia del novantacinque per cento lo squeeze out non è un’opzione, ma un obbligo. Al momento, dopo l’Opa, anche questa all’epoca obbligatoria, lanciata dopo l’acquisto del pacchetto di maggioranza da parte del consorzio americano in partnership con Unicredit, la società è proprietaria di circa l’ottanta per cento delle azioni colorate di giallorosso, frutto dell’Opa che ha visto la nuova società acquistare circa il quindici per cento delle azioni che i piccoli azionisti decisero di vendere (spesa intorno ai dieci milioni di euro). Ora c’è il rischio, si fa per dire, che nelle prossime tre fasi di aumento di capitale (perché saranno tre per un totale, minimo, di ottanta milioni di euro), una certa percentuale dei piccoli azionisti decida, come è suo diritto, di non partecipare alla ricapitalizzazione. Con la conseguenza che l’ottanta per cento delle azioni già in possesso di americani e banca, è destinato ad aumentare, ottantacinque, novanta, novantacinque per cento. A quel punto lo squeeze out diventerebbe un’operazione obbligatoria con l’inevitabile uscita del titolo giallorosso da piazza Affari. Sarebbe, in sostanza, un delisting obbligato e pilotato(…)

SCENARI – Vediamo allora cosa potrà succedere nei prossimi dodici, quattordici mesi. Perché questi sono i tempi necessari affinché si concluda quella ricapitalizzazione da ottanta milioni (minimo) complessivi prevista sin dai tempi dell’accordo bostoniano nell’aprile dello scorso anno. Siamo, per ora, alla prima fase della ricapitalizzazione, quella da cinquanta milioni, il cui iter è già cominciato. Questa fase, in attesa delle necessarie verifiche della Consob, entrerà nel periodo chiave nel prossimo settembre. Detto che i due soci di maggioranza hanno già versato le rispettive quote, ventuno milioni di euro Unicredit, ventinove i soci americani, a settembre i piccoli azionisti avranno trenta-quaranta giorni per partecipare con la loro parte oppure no. Finita questa fase si farà una prima somma delle azioni complessive in mano ai soci di maggioranza. Ma non è finita qui. Perché gli accordi bostoniani prevedono altri due step di ricapitalizzazione, uno da dieci milioni (minimo) durante la prossima stagione, un terzo di ulteriori venti alla fine. A quel punto si tireranno le somme e si vedrà se lo squeeze out sarà obbligatorio. Cosa, peraltro, che alla nuova proprietà non preoccupa.
Corriere dello Sport – Piero Torri 

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

I più letti