La Gazzetta dello Sport (F. Zara) – Succedeva qualche anno fa, quando la Roma era un’avversaria e José Mourinho – dalla panchina dell’Inter – la guardava di sbieco, riservandole come da catalogo ampie dosi di veleno, provocazioni e stoccate. All’origine di tutto c’è la finale di Coppa Italia del 2010, giocata il 5 maggio all’Olimpico. Sono giorni di fuoco, è la prima tappa del Triplete: La scena è irresistibile: quando all’Olimpico parte l’inno della Roma, Mourinho va su tutte le furie. Si aspetta Mameli, arriva Venditti. Apriti cielo. Mou si rivolge ad un dirigente Figc a bordocampo e sibila: “Ma se finisce 1-1 vinciamo noi, vero? Per chi gioca fuori casa il gol vale doppio…”. Poi gli anni passano e i punti di vista cambiano, chiaro. E la prima cosa che ha fatto quando nel 2021 è arrivato alla Roma è stata quella di chiedere alla società di far suonare l’inno poco prima del calcio d’inizio e non più all’ingresso in campo delle squadre.

Il fatto è che in Mourinho ogni dichiarazione è strategia, tattica psicologica. Sottomissione al suo carisma e obbedienza si combinano in modo unico e irripetibile: è come se nulla potesse increspare la granitica solidità di ogni sua affermazione. La Roma l’aveva tirata in ballo anche nel marzo del 2009, nella celebre conferenza stampa in cui calò insieme i due tormentoni: la prostituzione intellettuale e i zero tituli. Mourinho e la Roma: c’eravamo tanto detestati. Ma si sa: il calcio è un mondo adulto e ad ogni cambio di stagione ci si batte la mano sul cuore, però da professionisti.