La vita a volte ha traiettorie imprevedibili proprio come le punizioni che calciava Juninho,«il più bravo di tutti, perché riusciva a far ondeggiare la palla confondendo i portieri». Lo racconta Miralem Pjanic, che a soli 22 anni ha già ruminato ansie planando tra Bosnia, Lussemburgo e Francia, per atterrare a Roma in cerca di quiete. Non gli è andata benissimo, visto che la stagione è stata scossa prima dalla digestione e poi dal malinconico rigetto di Luis Enrique.
Pjanic, che cosa c’è da salvare di questo progetto?
«Tante cose. Ha portato una filosofia di calcio che in Italia non ha nessuno. Noi con lui siamo stati bene. Il problema è che c’erano tanti nuovi tutti insieme ed era logico che ci fosse bisogno di tempo per conoscerci. E poi quando all’inizio i risultati non sono cominciati ad arrivare abbiamo perso un po’ di fiducia».
Il girone di ritorno per voi è stato un calvario, senza contare infortuni ed espulsioni. Colpa anche della preparazione?
«Sui “rossi” sono capitate cose che non dovevano succedere. Sul resto non saprei. Anche al Lione, una volta, avevamo tanti infortuni, poi hanno cambiato qualcosa e le cose sono migliorate».
«Ha fatto bene, ma tocca alla società decidere. Qui c’è tanta pressione. Il tifo è bello, appassionato come in Bosnia, ma a volte si dovrebbe capire che si tratta solo di una partita».
«Il calcio mi ha salvato la vita. Mio padre Fahrudin è fuggito dalla Bosnia che avevo un anno per scappare dalla guerra. Era calciatore ma ha fatto anche il carpentiere, mia madre Fatima lavorava in ospedale. Ho avuto amici e parenti morti per una guerra che non è servita a niente. Si viveva meglio quando c’era la Jugoslavia. Il mio motto comunque è: non dimenticare. Ed io mi sento bosniaco al 100%».
«Lo vedremo l’anno prossimo. Io spero di tornarci, ma è logico che ognuno di noi voglia giocare a livello altissimo».
«Ma anche in Serie A ci sono belle piazze! Comunque è prematuro, visto che il mio contratto scade fra 3 anni e qui sto bene».
«Mi hanno fatto una bella impressione. Vogliono fare una grande squadra»
«Sono rimasto stupito. Mi pare un calcio ammalato. In Francia cose del genere non esistono. Spero che eliminiate presto questo problema, il vostro è un campionato così bello».
«Sì, dico di sì».
«È incredibile. La gente ha problemi eppure trova i soldi per lo sport. È una cosa stranissima».
«Ma che problema c’è? Siamo tutti uguali. Se uno dicesse di essere gay, non credo che compagni o tifosi farebbero storie».
«Direi Spagna e Germania, davanti a Olanda e Italia. La stella invece sarà Cristiano Ronaldo».
«Il mito è stato Zidane, il modello direi Xavi».
La lascio con una curiosità: vero che lei è un grande appassionato di poker?