Per Dzeko scatta un’altra vita

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Il Corriere dello Sport (M. Evangelisti) – Almeno si è raggiunto. Quello che viene da adesso in avanti sarà tutto guadagno. Edin Dzeko ha toccato il livello, per lui onestamente infimo, di 4 gol in campionato, esattamente quanto aveva segnato nella scorsa stagione con il Manchester City. La stagione dello scollamento tra il centravanti e la sua squadra di allora. Aggiungendo il resto delle competizioni arriviamo in un caso e nell’altro a 6 gol. A giungere a tal segno con la Roma ci ha messo meno partite: 27 in totale contro 32. Lì era stata una conclusione, qui ha l’aria di essere un principio. Come un salto in lungo dopo un’interminabile rincorsa. Stava zitto e mosca da 709 minuti di campionato, aveva realizzato l’ultima rete in assoluto il 24 novembre a Barcellona, in Serie A con palla in movimento aveva bucato solo la Juventus, il 30 agosto.

SORRISI – In mezzo una lunga notte, un incubo unico. Però un incubo movimentato: 1.612 minuti disputati in Serie A, 6 passaggi smarcanti di cui uno andato a buon fine, 48 conclusioni verso la porta avversaria, più di ogni altro giocatore della Roma. Contro il Carpi ha segnato praticamente per inerzia, quando il catenaccio del destino malefico è crollato di colpo. Edin è uno che conta i sorrisi, le parole, le uscite di casa. Ha quasi trent’anni e il carattere dei bosniaci è particolare, ben sintetizzato da Zukanovic all’arrivo a Roma: io, Dzeko e Pjanic ci vediamo tutti i giorni agli allenamenti, manca solo che si esca a cena insieme più di qualche volta. Ma ieri Dzeko aveva voglia di spendere alcuni sorrisi in più, mentre alcune parole in più le ha scritte su Instagram. «L’importante è crederci sempre. Forza Roma», sotto una foto che lo ritrae festante con il pollice in bocca. L’esultanza coreografica che aveva annunciato a Totti: adesso che è nata mia figlia Una, quando segno faccio come te. Quando segno, non se segno. Con tutte le sue ansie, con tutti i dubbi sull’età che scorre e sulla fatica nell’inserirsi in un organico che sembra affetto da malattia autoimmune al trapianto di un vero centravanti, non aveva mai dubitato di saperlo ancora fare. Quello e il resto. Il dialogo con il resto della squadra è sempre stato il suo forte e se le immagini fossero più durature delle statistiche della sua partita di venerdì sera resterebbe integro nella memoria il passaggio che ha spedito Nainggolan davanti al portiere Belec e portato in ultima analisi al 3-1 di Salah.

ASTUZIA – Dicono che Florenzi rischi la crisi d’identità con tutti i ruoli che ricopre. Figuratevi quanto è stato facile per Dzeko passare da punta in un attacco a due a centravanti arretrato come lo voleva Rudi Garcia per fabbricare lanci a favore di Gervinho e Salah a centravanti puro come lo vede Luciano Spalletti. Il quale peraltro ci lavora sopra con la consueta testardaggine condita di programmazione. I lavori in corso per l’attacco prevedono a ogni allenamento una quantità di prove di scambi continui che mirano a un solo obiettivo: portare un giocatore a stretto contatto con la porta, il pallone tra i piedi, colpire al cuore e via. Quello che colpisce al cuore di solito è Dzeko. E’ rimasto colpito al cuore anche lui, peraltro. Dai tifosi che hanno continuato a incoraggiarlo nei momenti più profondamente neri. Portarlo psicologicamente in braccio fino alla partita con il Real Madrid è stata una mossa astuta da parte dei sostenitori e dell’allenatore. Ai bianchi ha segnato nel 2012, con il City in Champions League. Perse, ma questo Dzeko è nuovo di zecca e la Roma anche.

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