Nuova vita dell’ivoriano. Ora difende e segna ogni due tiri in porta

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La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – Ce l’aveva nel Dna, il derby, quest’uomo nato ad Anyama il 27 maggio 1987, che sogna di cenare una volta nella vita con Barack Obama ma che ieri sera ha condiviso il menu della vittoria con la sua tribù di amici, ovviamente presenti all’Olimpico, ovviamente presenti nei festeggiamenti dopo il primo gol alla Lazio. Benvenuti a Roma, provincia di Gervinholand, terra di un ivoriano con un segno particolare nella carta d’identità. Perché il 27 maggio non è una data qualunque. È il giorno dopo il 26, la sconfitta con la Lazio in Coppa Italia, il punto più basso della proprietà Usa, di fatto l’inizio dell’era Garcia, a maggior ragione lo start di una storia incredibile. Gervinho arriva a Roma per…«merito» di quella sconfitta. E ha già vissuto sette vite. È nato, morto e risorto nei cuori dei tifosi, nelle grazie di un allenatore che aveva detto sì alla sua cessione e di uno spogliatoio che cominciava a essere fisicamente insofferente alla sua (onni) presenza.

INTERRUTTORI – È come se la sua velocità fosse di pensiero, di vita, di cervello oltre che di gambe. Ma quanti anni ha Gervinho? Quanti fratelli ha Gervinho? Quello scarso qui neppure se lo ricordano più. Così, per dire: minuto 36 del secondo tempo, l’ivoriano esce e gli applausi neppure si contano, misti al «controllato» terrore che si dovessero giocare ancora 9 minuti più recupero senza di lui. Perché forse non è mai esistita una Roma senza Gervinho. Forse era semplicemente una questione di interruttori. L’ivoriano s’è riacceso il 31 agosto, alle 23.01. Quando da un minuto aveva avuto la certificazione che sarebbe davvero rimasto a Roma. Prima, era stato tutto un punto interrogativo. A Verona, prima giornata di campionato, il film pareva quello della scorsa stagione. Era solo l’antipasto – poco riuscito – di una cena che si sta rivelando succulenta. Didi tutto, Gervinho. «Che bella domenica», ha twittato quando ancora doveva lasciare l’Olimpico. Veloce pure con il telefono. Imprendibile come un uccello, cecchino come un cacciatore professionista. Sentite questa: è capocannoniere della Roma in campionato con 6 gol. Lui, quello che non prendeva mai la porta, ora ha una percentuale realizzativa del 46%: un tiro su due fa gol. Recupera più palloni della media nel suo ruolo, ne intercetta il triplo, dribbla il quadruplo. Un attaccante totale, è diventato. È tornato. Si è trasformato. Il verbo è difficile da scegliere. Quasi quanto marcare Gervinho, di questi tempi.

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