Macerie vincolate (ma tre anni dopo)

Corriere Della Sera (S.Rizzo) – Sembra l’epilogo di Febbre da cavallo, il film girato quarant’anni fa a Tor di Valle. Il purosangue Antonello Da Messina, su cui Er pomata Enrico Montesano e Mandrake Gigi Proietti hanno puntato fino all’ultima lira cede di schianto. E il mezzo brocco Soldatino vince contro ogni pronostico la corsa tris. Finale beffardo, che però non fa una grinza. «Ce l’ha presente il mondo delle corse? Un mondo de matti, robba de manicomio…» confessa Proietti al giudice che lo interroga. Un manicomio dove la febbre da cavallo contagiava l’alta società come il popolino, con fortune che nascevano e si dissolvevano nello spazio di un fotofinish. E dopo l’epoca d’oro, il declino inarrestabile delle scommesse ippiche decretato dall’azzardo online. Quindi il tracollo delle corse. Succede così che un giorno l’ippodromo progettato da Julio Lafuente per le Olimpiadi del 1960 chiude i cancelli dopo 54 anni. L’ultimo trotto si corre il 30 gennaio del 2013. La società della famiglia Papalia che lo gestisce è sommersa dai debiti e porta i libri in tribunale. Non prima, però, di aver siglato un patto con il costruttore Parnasi, che vuole fare a Tor di Valle il nuovo stadio della Roma con un milioncino di metri cubi in più. E compra l’ippodromo. Il prezzo: 42 milioni, dei quali una decina legati però alla fattibilità del progetto. E comincia lo strazio. L’impianto già non era in condizioni ottimali e lo stato di abbandono fa il resto.

Pian piano si avvia a diventare un rudere. Del resto, chi può avere interesse a evitarlo? Certo non il costruttore, che sopra a quell’ippodromo cadente ci dovrà mettere uno stadio. Operazione che però con l’arrivo in Campidoglio dei grillini si rivela piena di insidie. Finché non arriva la sorpresina. La Soprintendenza annuncia un decreto di vincolo per il valore architettonico. Perché quel provvedimento non sia stato adottato prima che il delirio avesse inizio resta un mistero. Tanto più se è vero che la stessa Soprintendenza ci pensava dal 2014. E pur con tutte le riserve che ci possono essere sull’enorme operazione immobiliare targata Pallotta-Parnasi che per i suoi oppositori profuma di speculazione, tre anni per decidere che la tribuna di un vecchio ippodromo va vincolata sembrano troppi. Senza considerare che se ritenevano quell’ippodromo così importante da meritare la tutela, non si capisce perché nessuno sia intervenuto per frenare il degrado. Altro mistero, in una burocrazia davvero piena di misteri. Così mentre all’ippodromo di Lafuente in via di ruderizzazione che giace in un’area disastrata vengono concessi gli onori ministeriali, nessuno si occupa dello stadio Flaminio di Nervi che cade a pezzi, a un tiro di schioppo da piazza del Popolo. Come nessuno ha mosso un dito quando è saltato in aria il meraviglioso velodromo dell’Eur: progettato nientemeno che da un maestro dell’architettura qual era Cesare Ligini. Distrutto con le mine. Ma il vincolo della Soprintendenza, guarda caso, lì non c’era. E adesso al posto del velodromo non c’è altro che un prataccio sbranato…

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