Corriere della Sera (M. Ferretti) – L’idea di base è chiara: mettere a destra un mancino. O, per meglio dire, mettere un mancino a destra nel tridente d’attacco. Per dargli così la possibilità di “entrare” dentro al campo avendo il pallone sul suo piede forte. E, quindi, di avere una postura ideale per andare al tiro o alla rifinitura.

Da qui la scelta di Daniele De Rossi di affidarsi a Paulo Dybala contro il Verona e, con Paulino fermo ai box, a Joao Costa contro l’Al Shabab. Nulla di casuale; e neppure nulla di inedito o di rivoluzionario, ricordando – ad esempio – la sistemazione in campo di un certo Leo Messi a partire dal Barcellona stellare di Pep Guardiola.

Le riflessioni sul “nuovo” Dybala, se mai, nascono dalla verifica della sua capacità di svolgere compiti tattici (anche) in fase di non possesso partendo da quella posizione. Che dà grossi vantaggi quando il pallone ce l’ha la Roma ma che necessita di accorgimenti alla portata di tutti (e di Dybala per primo) quando il possesso palla è degli avversari.

Ecco perché la mossa “Dybala ala destra” è molto stuzzicante, ma richiede ancora un sacco di addestramento tattico. La qualità del campione del mondo, ovviamente, è fuori discussione, però servirà (e questo compito spetta a DDR, in primis) una soluzione di gioco che consenta alla squadra di non “regalare” un uomo agli avversari in fase difensiva.

Ma la cosa più importante, per De Rossi e quindi per la Roma, è innanzi tutto che Dybala sia fisicamente/atleticamente in grado di stare in campo. Sfruttare l’abilità di uno come lui con palla alla Roma e costruire un sistema tattico per ottimizzare (limitare?) il suo contributo in fase difensiva, è la sfida più stimolante e complicata che aspetta De Rossi.