La sfida degli arbitri. Nicchi: “Programmi? È nelle cose già fatte”. Trentalange: “Il mio impegno per tornare ai due mandati”

La Gazzetta dello Sport (M. Guidi e E. Lusena) –  In vista delle imminenti elezioni – che si terranno domenica 14 febbraio all’hotel Hilton di Fiumicino – per la presidenza dell’Aia, i due candidati – l’attuale presidente Marcello Nicchi e l’ex arbitro internazionale Alfredo Trentalange – hanno illustrato i propri programmi in un’intervista a La Gazzetta dello Sport. Di seguito le loro parole.

Cosa l’ha spinta a candidarsi?

Nicchi: “La mia spinta viene dal fatto che i presidenti di sezione mi hanno chiesto di farlo, è significativo visto che sarà un mandato dedicato tutto alla formazione e alla crescita di nuovi dirigenti, ai dirigenti del domani”.

Trentalange: “È una scelta di cuore. Sto provando la stessa emozione di quando arbitrai la prima volta in un campo sterrato nella periferia di Torino. È questione di passione e senso di giustizia, come quando decisi di arbitrare”.

C’è chi sostiene che né lei né il suo avversario possiate rappresentare una novità.

N: “La risposta è nel mio programma, che raccoglie tutto quello che abbiamo fatto. Ci sono cose che sono state fatte dieci anni fa che hanno bisogno di “restauri”, nel frattempo è cambiato il mondo, è cambiato il calcio, è cambiata la tecnologia, serve continuità. Il libro dei sogni lo lascio a chi non capisce quante cose buone siano state fatte“.

T: “Capisco l’osservazione, ma già 4 anni fa avrei voluto candidarmi, perché Nicchi era al terzo mandato e per me due erano sufficienti. Io non credo di essere il nuovo che avanza, ma posso essere l’esperienza che porta al nuovo. Don Milani diceva: «Fai strada ai poveri senza farti strada». Ecco, per me vale il fai strada ai giovani senza farti strada“.

Nicchi, pensa di aver fatto degli errori? Trentalange, cosa imputa al suo avversario?

N: “Gli errori, se ci sono, andrebbero chiesti a chi osserva il nostro operato. A chi lavora tanto come abbiamo fatto noi in questi anni può capitare di fare qualche errore, l’importante è che sia rimediato e riconosciuto, per la verità però mi sembra che, guardando indietro, sia difficile trovare sbagli. Tutto quello che abbiamo fatto è frutto del lavoro di una squadra che ha cooperato, che ha condiviso e che si è mossa sempre sulla base di richieste ed esigenze che ci sono state avanzate dalle sezioni e a cui noi abbiamo risposto“.

T: “Non mi piace guardare al passato, ma focalizzarmi sul futuro. Però ecco, penso si potesse lavorare più di squadra, in un clima collegiale, dando più importanza alla formazione. E poi migliorare nella comunicazione, per far cadere certi pregiudizi sulla nostra categoria. Per Nicchi sarebbe il quarto mandato, ma dopo così tanti anni serve innovazione, una nuova progettualità e il momento per me è arrivato, anche se non si può negare che qualcosa di buono sia stato fatto in questi anni. Di sicuro, comunque, se fossi eletto farei in modo che si torni al limite dei due mandati”.

Il suo programma in tre parole.

N: “Condivisione, trasparenza, lealtà. Sono elementi imprescindibili. Aggiungo il rispetto, quello delle regole, che vengono dai vertici, dalla federazione e dagli organismi internazionali“.

T: “Se me lo consentite, ne uso quattro, come i punti cardinali: condivisione, trasparenza, progettualità e innovazione. Ci sarebbe anche appartenenza, ma non vorrei venisse mal interpretata…”.

Deleghe raccolte, consensi, previsioni. Come giudica la sua campagna elettorale?

N: “Intorno a me sento un grande sostegno, un grande appoggio, una grande condivisione, non sono per niente preoccupato. I voti non si pesano, si contano e i nostri numeri da questo punto di vista sono esponenziali.

T: “Spiace non aver potuto incontrare di persona presidenti e delegati, ma c’è stato comunque un dialogo prezioso. E anche qui cito don Milani: «La politica con la P maiuscola si ha quando il tuo problema diventa il mio». Ho integrato il mio programma con ciò che raccoglievo in giro”.

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Quale è il livello di preparazione tecnica attuale degli arbitri in Italia?

N: “Lo dicono i fatti, le finali a livello internazionale affidate agli arbitri italiani, come quella di Champions, e i riconoscimenti a Orsato o Collina, ultimamente nominato l’arbitro più forte di tutti i tempi, non si dimentichi che Collina e Rosetti sono ai vertici Fifa e Uefa. Il giudizio, poi in un momento come questo, non può essere che positivo: chi vede una partita in tv con gli stadi deserti sa che è tutto diverso e i nostri arbitri si sono dovuti adeguare a una realtà complessa e irreale. La riunificazione delle Can sta già dando segnali con nomi nuovi che Rizzoli ha valorizzato con le designazioni. Sì, c’è stato un momento che abbiamo perso validissimi elementi sul piano internazionale e il ricambio non andava di paripasso, ma il gap sta venendo colmato”.

T: “Stiamo vivendo una situazione inedita: abbiamo un solo arbitro, per quanto bravissimo, nella categoria elite internazionale, Daniele Orsato. Mai era successo, ne avevamo sempre avuti due. Certo, Rocchi avrebbe potuto fare un altro anno e la Uefa sarebbe stata d’accordo, ma pensando al futuro dovremmo farci qualche domanda, al posto di continuare a ripeterci che siamo i più bravi del mondo… Abbiamo sì arbitri di talento e il designatore Nicola Rizzoli è sicuramente una persona molto in gamba, ma in questo momento reputo necessaria una riflessione che tocchi soprattutto i concetti di formazione e management della nostra classe arbitrale. Dobbiamo fare i ricercatori, senza essere presuntuosi“.

Le riforme o le svolte più urgenti di cui ritiene l’Aia abbia bisogno.

N: “Con lo stop, per il Covid, al mondo dilettantistico senza i rimborsi tanti arbitri sono in difficoltà anche a pagare le quote sociali e serve che se ne faccia carico l’associazione. Poi va consolidata la fusione già avviata tra Can AeCan B. E la centralità sarà data alla formazione: bisogna cambiare il modo di fare i corsi arbitri, voglio creare convenzioni con le tv nazionali per la promozione, oltre a rendere incondizionato l’accesso dei tesserati agli stadi per la formazione. Non solo: una svolta necessaria è quella di introdurre il doppio tesseramento che dia la possibilità a chi gioca di aprirsi una strada anche in campo arbitrale”.

T: “Ne indico due: la prima è dare delle risposte al reclutamento, visto che abbiamo perso 5mila associati in 5 anni ed è un’emergenza che ci richiede il territorio; la seconda è concentrarsi sulla formazione. La formazione costa, ma l’ignoranza pure di più e va a svantaggio dei più deboli. Credo sia utile un forum dei presidenti, con il supporto dell’Aia centralizzata e una novità potrebbe essere il doppio tesseramento: perché un ragazzo di 15 anni non può sia giocare a calcio che arbitrare? Sarebbe anche un grosso deterrente nel prevenire la violenza, che resta un altro dei temi caldi“.

Oltre alla nuova figura di Gianluca Rocchi si è parlato degli arbitri in tv a spiegare gli episodi.

N: “Il lavoro che Gianluca Rocchi fa come punto di contatto fra arbitri e club è eccezionale. La Sala Var sarà fondamentale, avevo detto che non eravamo culturalmente pronti a mandare gli arbitri in tv perché ogni episodio è strumentalizzato per farne polemica, ma noi siamo aperti a spiegare. Se si parla in modo malizioso di episodi a favore o contro questo o quel club si perde di vista l’obiettivo che è il chiarimento, non la polemica”.

T: “I tempi sono maturi, anche perché non si conosce solo ciò che non si sperimenta. L’esempio è proprio Rocchi, che ha aperto canali di comunicazione con le squadre. Arbitri in tv? L’unico limite deve essere quello del giudice sportivo: su episodi controversi l’arbitro non può raccontare ciò che ha scritto nel referto subito dopo. Sul resto, basta discuterne con leghe e Federazione e chiedersi: fa bene al calcio? Se sì, allora ok”.

Gli errori arbitrali non spariranno, ma molti addetti ai lavori si lamentano della mancanza di uniformità nelle decisioni in campo…

N: “Gli episodi arbitrali faranno sempre parte del gioco del calcio, c’è stato un adeguamento delle regole da parte dell’Ifab. Sul fronte dell’uniformità si può sicuramente migliorare, ma non aspettiamoci di arrivare al 100% perché parliamo di persone, di uomini e donne, e ognuno è diverso. Ma l’obiettivo più importante è parlare tutti la stessa lingua tecnica: nel momento in cui tutti conoscono e applicano nello stesso modo le regole cresce l’uniformità. Sa cosa ci è mancato molto quest’anno? Il fatto che il Covid ci abbia privato dei raduni: per fortuna la tecnologia ci aiuta con i programmi di preparazione personalizzati a distanza, ma eliminare il confronto e la verifica dello stato di preparazione fatti di persona in campo indubbiamente penalizza”.

T: “L’uniformità in assoluto è un’utopia, dobbiamo mettercelo in testa, anche per lo stesso arbitro, all’interno della stessa partita. E lo dico da avido lettore di Tommaso Moro (ride ndr). Serve piuttosto seguire fedelmente le linee guida e certi principi cardine: regolamento, formazione e spirito di gruppo innanzitutto. La squadra degli arbitri funziona esattamente come una normale squadra di calcio, dove l’etica è fondamentale per la crescita di tutti. Se domenica un arbitro ha il coraggio di fischiare un calcio di rigore, prendendo la scelta giusta in un contesto complicato, la partita dopo un collega deve seguirlo sulla stessa linea, così da essergli di sostegno. Bisogna cominciare a uscire dall’io e pensare al noi, se si vuole crescere insieme”.

Il funzionamento del Var fa discutere: può essere migliorato? E nel caso, dove?

N: “La cooperazione tra l’arbitro in campo e il Var è cresciuta ed è uno strumento di giustizia. Siamo aperti a cambiare: migliorare si può, è già stato fatto correggendo ad esempio alcune norme rigide e difficilmente comprensibili per tifosi e spettatori. Credo che un obiettivo debba essere quello di creare sempre più Var Pro, gli specialisti, una categoria sempre più centrale. La sala Var anche in questo senso è sempre più urgente, quello sarà un momento cruciale anche a garanzia della serenità del gioco, aiutando a far scomparire le proteste e favorendo la correttezza. Quanto al Var a chiamata, personalmente credo che non risolverebbe nessun problema: se ci dovessero obbligare a fare lo faremmo ma credo sia inutile, ogni episodio dubbio all’interno del protocollo viene comunque rivisto, senza che nessuno debba aver bisogno di chiederlo“.

T: “Il Var è un formidabile strumento di giustizia e attraverso la giustizia si raggiunge la pace, non dimentichiamolo. Io ero presente al Mondiale di Russia e ho visto con i miei occhi lo sforzo di tanti arbitri per comprendere e utilizzare al meglio questa eccezionale novità. Dico questo per sfatare un mito del passato: gli arbitri sono da sempre favorevoli alla tecnologia e sono felice di potersene avvalere. Perché se è vero che l’arbitro più bravo è quello che ha meno bisogno del Var, è altrettanto vero che nessuno può essere così presuntuoso da pensare di non necessitare mai di un aiuto. Poi si può discutere di molte idee, come il Var a chiamata, su cui non ho però la certezza possa funzionare. O la sala Var centralizzata, che io ho sperimentato in Russia: ha dei vantaggi formativi, per cui mi spenderò in prima persona per vederla anche in Italia”.

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