La Roma è in ritiro blindato però si vede una via d’uscita

La Gazzetta Dello Sport (M.Cecchini) – Si lascia Milano passando per Largo Alberto Ascari e poi, giunti all’altezza di Bareggio, sfilano le rotonde dedicate a Enzo Ferrari e Michele Alboreto. Andare a caccia della Roma, in una assolata giornata lombarda che ingentilisce anche periferie facilmente dimenticabili, sembra quasi fare un ripasso di storia della Formula Uno. A pensarci bene, quasi un controsenso, visto che gli ultimi flashback di San Siro fanno tornare a galla le dichiarazioni di fine partita: «Non correvamo più, eravamo stanchi, avevamo i crampi». Insomma, al netto dei problemi psicologici – che ormai vedono stesa la squadra giallorossa su un lettino di psicanalista da un decennio – quello che è servito all’Inter per pareggiare.

I BODYGUARD – A vederli uscire dall’hotel di Cornaredo, dove la Roma ha posto il quartier generale per questo ritiro i giallorossi hanno la faccia di chi è uscito dal tunnel, o forse almeno ne vede la fine. La decina di persone assiepate sulla strada per le foto lancia i gridolini di prammatica, mentre i tifosi del Milan dicono rammaricati: «Peccato che non abbiate battuto l’Inter». Successo scarso. I giallorossi salutano e basta, i bodyguard credono di star vigilando sulla sicurezza di Trump e così il pullman parte per l’allenamento con in prima fila Totti e Di Francesco da un lato, e Monchi e De Sanctis dall’altro. Dieci minuti e Cornaredo è alle spalle, così come il ristorante «DO» dello chef stellato Davide Oldani, ex calciatore, che nobilita i luoghi. Dieci minuti e si arriva a Sedriano, «Sidrian» per chi legga il cartello stradale bilingue e abbia la Padania nel cuore. Il campo di allenamento, manco a dirlo, coperto da recinzioni per impedire che si veda all’esterno, ma la giornata del dopo partita è standard: scarico per chi ha giocato e lavoro sul campo per gli altri, con puntate in palestra per tutti. Sopratutto per De Rossi, che è l’unico ad allenarsi a parte per i noti problemi al polpaccio. L’impressione è che non ce la faccia. Sulle tribune a vedere il gruppo in campo ci sono anche delle persone. Non giornalisti (per carità), ma ospiti probabilmente del club locale che cercano immagini e autografi, e se vi sembra una stranezza, non siete abituati al calcio del Terzo Millennio.

AUTOGRAFI – Alla fine, comincia il momento…beatlesiano. Ovvero, quando passano tutti i calciatori, la trentina di persone accalcata fuori dal lato del pullman comincia a gridare i nomi dei giallorossi per foto, video e autografi. «Fate un autografo al mio bambino – urla un papà, indicando un pupetto con la maglia di Dzeko -. Non l’ho mandato a scuola apposta per voi»: E così tutti chiamano a gran voce gli eroi giallorossi, ma la gran parte della truppa sfila salutando. A onore dei più gentili, però, diciamo che Pellegrini, El Shaarawy, Schick e Di Francesco si fermano per accontentare i tifosi. Non il distratto Dzeko né Nainggolan, a cui la gente scherzando dice: «Radja, eccoti una siga», oppure «dammi una paglia». Qualcuno, comunque, dei mancati autografi ci rimane male e dice un milanesissimo: «Vadavialcul», mentre un altro aggiunge: «Forza Lazio». Uno al suo fianco però precisa: «Ora non esageriamo…». Il pullman parte e la squadra torna in hotel per il pranzo e le sedute tattiche pomeridiane. Sul campo resta una bella ragazza bruna, del gruppo dei privilegiati che sono state all’interno. I tifosi che stanno fuori la notano e dicono: «Almeno vieni tu a farci l’autografo». Niente da fare. Si vede che non è giornata .

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