La Digos: “Totti aveva paura delle ritorsioni degli ultras”

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Il Tempo (A.Ossino) – «Tanto il Totti quanto il De Rossi hanno negato di aver subito minacce (…) la negazione dei calciatori appare frutto del fondato timore di subire ritorsioni o comunque un male ingiusto alle proprie persone o a quelle dei propri familiari conviventi». Sono le parole utilizzate negli atti a disposizione della procura di Roma che testimoniano nero su bianco il timore patito dal capitano e dal resto della squadra. Una paura frutto di una serie di contestazioni e di atti intimidatori messi a segno da alcuni ultras appartenenti al gruppo «Padroni di casa», considerato molto vicino all’associazione di destra CasaPound.

Roberto Calfapietra, Manuel Monteleone, Pietro Ciaramitaro e Raniero Galanti rischiano infatti di dover affrontare un processo penale perché accusati a vario titolo di aver concorso tra loro per compiere atti di violenza privata detenendo armi. Secondo gli inquirenti «gli indagati possono senza dubbio considerarsi i manovratoti della tifoseria ultras della curva sud, in quanto tali in grado di decidere quando dare inizio e quando porre fine alle attività violente».

Sono proprio tali «attività violente» ad aver creato non pochi pensieri ai giocatori della Roma e al capitano Francesco Totti. Il 2015 è stato un anno difficile. Il derby terminato con un pareggio (2-2) e con un arsenale nascosto in una macchina rinvenuta dalla Digos. Le proteste a Trigoria dopo la partita con il Chievo (0-0). Il «colloquio» avvenuto al termine della sconfitta contro la Fiorentina con Totti, De Rossi, De Sanctis e Iturbe che provavano a comunicare con la curva ricevendo sputi e lanci di bottigliette. Sono solo alcuni degli episodi su cui indaga la procura di Roma e che hanno contribuito a generare, negli animi dei giocatori e di Totti, un «fondato timore di subire ritorsioni o comunque un male ingiusto alle proprie persone o a quelle dei propri familiari conviventi». «Al termine dell’incontro io ed altri miei compagni di squadra ci siamo recati sotto il settore della curva sud dove i tifosi avevano reclamato a gran voce la nostra presenza con ripetuti cori. Durante questo confronto siamo stati insultati e fatto oggetto di sputi, lancio d’accendini e bottigliette di plastica», aveva affermato il capitano giallorosso interrogato sui fatti accaduti dopo la sconfitta che costò alla Roma l’Europa League. Alle parole della bandiera giallorossa avevano fatto eco quelle dei suoi compagni di squadra. Come De Rossi che aveva affermato di aver notato la sua maglia piena di sputi. O De Sanctis che aveva spiegato di avere ricevuto «numerosi insulti e subìto il lancio di numerosi oggetti quali accendini (che colpirono Pjanic ndr), bottigliette, aste di bandiere e anche sputi». E ancora Iturbe: «Nell’occasione ci sono arrivate dagli spalti monetine e una bottiglietta d’acqua che non mi hanno colpito e un tifoso che era a cavalcioni sulla cancellata mi ha chiesto di dargli la maglia».

Seppur veritiere le parole dei giocatori erano arrivate alle orecchie degli inquirenti solo dopo che quest’ultimi avevano interrogato la squadra. Nessuna denuncia era stata sporta dai calciatori. Perché, secondo gli inquirenti, dopo il «confronto» con la curva «l’effetto intimidatorio prodotto dalle affermazioni in questione, nitidamente percepite dalla polizia giudiziaria presente sul posto – si legge negli atti – è stato tale che in sede di escussione a S.I.T. (sommarie informazioni ndr) tanto il Totti quanto il De Rossi hanno negato di aver subito minacce; tuttavia, a fronte di una chiara percezione degli operanti in tal senso, la negazione dei calciatori appare frutto del fondato timore di subire ritorsioni o comunque un male ingiusto alle proprie persone o a quelle dei propri familiari conviventi». Che i giocatori temessero per la loro incolumità è testimoniato anche da una frase redatta dalla Digos e presente negli atti sui quali lavora il sostituto procuratore Eugenio Albamonte: «Alcune minacce venivano proferite all’indirizzo del giocatore Daniele De Rossi («Ti veniamo a prendere sotto casa») a cui il giocatore replicava quasi in tono di supplica: “Vi prego sotto casa no”».

I calciatori del resto non si sarebbero trovati davanti a episodi isolati, ma ad eventi «legati da un nesso di continuità» che si sarebbero sviluppati «in una progressiva escalation di violenza volta a generare disordini e a turbare il regolare svolgimento delle competizioni sportive in cui è coinvolta la squadra di calcio A.S. Roma, così contribuendo anche a creare un effetto intimidatorio ai danni dei componenti della squadra medesima». Gli inquirenti infatti, ripercorrendo tutte le tappe di questa estrema contestazione dai contorni antisportivi, motivano «l’esistenza di una vera e propria strategia criminosa avente ad oggetto la commissione di atti di violenza ed intimidazione ogni qual volta la squadra giallorossa non risponda ai desiderata della tifoseria ultras». Secondo la procura, alla quale il gip ha rigettato la richiesta per l’applicazione delle misure cautelari, vi era dunque un concreto e attuale pericolo che gli indagati potessero organizzare altre condotte violente. Azioni, come quelle già narrate sulle pagine de Il Tempo , volte a creare disordine all’interno dell’Olimpico e fuori dallo stadio intimidendo i calciatori e il capitano della squadra che attualmente lotta per vincere lo scudetto.

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