Gian Piero Ventura: «L’impegno c’è, il risultato no. Chiedo scusa agli italiani»

La Gazzetta dello Sport (A.Elefante) – «Non mi sono dimesso perché non ho neanche parlato con il presidente. C’è da valutare un’infinità di cose: ci confronteremo, affronteremo il problema e accetterò qualunque cosa sarà decisa. Ma non posso comunicare qualcosa prima di averne parlato. Però posso chiedere scusa agli italiani, assolutamente sì. Scusa per il risultato, non per l’impegno, la volontà e la professionalità. Ma il risultato è la cosa principale, lo so». Gian Piero Ventura detta il suo testamento a voce bassa, più di un’ora e mezzo dopo che sul tabellone illuminato dalle luci stavolta impietose di San Siro era rimasto scritto definitivamente Italia-Svezia 0-0. Ma a ben vedere, si leggeva anche molto altro: anno zero, capolinea. Si scende tutti.

FISCHI E VAFFA – Scende l’Italia, scende soprattutto il c.t. e lui non salirà più. Lo dicono la logica di un insuccesso sportivo storico che ci riporta indietro di sessant’anni, una bocciatura fragorosa, un isolamento ormai insanabile. Lo dice il rumore assordante dei fischi che hanno quasi coperto la voce dello speaker che leggeva il suo nome prima che entrasse in campo. Il «vaffa» insistito, crudele di San Siro che lo ha accompagnato all’uscita dal campo. E lo dice ovviamente il suo contratto con vista sul Mondiale mancato, e prolungamento condizionato. Restare fino a giugno non avrebbe senso, a questo punto. E nessuno lo vorrà. Resta da parlare anche di buonuscita, probabilmente, prima di pronunciare nel caso la parola dimissioni, come ha fatto in passato chi lo ha preceduto su quella panchina. Anche di questo, e molto altro, Ventura e i vertici dirigenziali della Figc hanno iniziato a parlare già ieri sera in un lungo vertice post partita.

ORGOGLIO E ADDIIVentura non si è dimesso, ma parla già al passato: «Sono orgoglioso di aver fatto parte del gruppo azzurro, di aver lavorato con grandi campioni e altri a cui auguro di diventarlo». Ed è arrivato così in ritardo in sala stampa, dopo il silenzio ai microfoni Rai al fischio finale, «proprio perché mi sono fermato a parlare con ogni giocatore con cui ho avuto il privilegio di avere un rapporto». Soprattutto quelli che, come lui, hanno detto addio ieri sera alla Nazionale: «Buffon, De Rossi, Barzagli, forse Chiellini: sapevamo che poteva succedere. La posta in palio era il Mondiale, il loro e anche il mio. Quanto dispiacere io provi adesso l’ho detto a loro singolarmente». E lo dice anche al pubblico di San Siro: «Questo stadio stasera mi ha fatto capire per l’ennesima volta cosa vuol dire allenare la Nazionale, che emozione sia. Se avremmo meritato di più o di meno, è secondario». Sottintende che l’Italia, almeno ieri, avrebbe meritato di più: «La colpa più grande è aver giocato due partite senza aver fatto gol e senza averne presi, perché quello dell’andata è stato un autogol. Ma quando una squadra non ottiene un risultato il responsabile è sempre l’allenatore: dico una banalità. Dal punto di vista sportivo è un risultato pesantissimo: ero convintissimo della volontà feroce di questa squadra e stasera si è vista, proprio questo smentisce l’ipotesi che non ci fosse amalgama tecnico fra me e il gruppo. Ma sono nel calcio di tanti anni: il calcio è questo, so accettarlo».

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