Formello-Trigoria. Il difficile viaggio di Walter Sabatini tra cuore e lavoro

La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Il passato è una terra straniera, ma l’archeologia sentimentale, a volte, aiuta a raccontare gli uomini. Esattamente un girone fa – dopo il match con l’Inter – Walter Sabatini disse addio alla Roma, terminando così un viaggio agli antipodi. Se Luciano Moggi, da d.s., passò senza problemi dal Torino alla Juve, per Sabatini il breve ma infinito trasloco da Formello a Trigoria (via Palermo), ha rappresentato una zavorra mediatica ed emotiva non ancora accantonata. Parliamo di un personaggio che, ad oggi, ha sul proprio profilo WhatsApp una foto di gruppo di calciatori giallorossi. Incongruo, forse, per uno che teoricamente dovrebbe essere già pronto a una nuova avventura. La Roma nel cuore, verrebbe da dire, tant’è che a margine di un’intervista dello scorso anno ci disse: «Non credo che mi attenda ancora una vita lunghissima, ma vorrei essere ricordato come direttore giallorosso».

IL PASSATO – Con queste premesse – e tenendo conto che la Roma è incagliata anche nel suo burrascoso passato di calciatore – sarebbe facile dire che per Sabatini la Lazio fu solo freddo lavoro. Invece sbaglieremmo, e a spiegarlo (per iscritto) è stato lui stesso nel corso per direttori sportivi. Nel 1992 «accettai una proposta come coordinatore tecnico del settore giovanile biancoceleste». Per due anni Sabatini rimbalzò su mille campi alla ricerca di talenti, tant’è che «finii per credere vera la leggenda attribuitami circa la mia ubiquità». Terminò tutto nel 1994, ma ricominciò tutto, stavolta in grande stile, 10 anni dopo, quando Lotito lo chiamò a lavorare sul mercato. E il quadriennio deve essere stato indimenticabile, visto che un’intervista del 2008 al dirigente (già dimissionario) è inserita – insieme a quelle a Chinaglia, Nesta e tanti altri totem – nel bel libro: «La nostra Lazio: la storia biancoceleste raccontata dai suoi protagonisti». Ne viene fuori un Sabatini che, anche da «laziale», mette il cuore in ogni parola. Di Lotito dice: «Con lui ho avuto un rapporto di amicizia molto solido. Gli ho sempre detto che è grandioso nelle cose difficili e scarso in quelle facili. Sarà un peccato che un giorno venga ricordato come un presidente normale o modesto quando avrebbe potuto farsi ricordare come un grande». Ma l’esperienza di vita deve essere stata intensa, se alla fine l’ex d.s. chiosa: «Non credo che troverò mai una società come la Lazio o una piazza migliore. Dovrò accontentarmi di andare al ribasso». Morale: tre anni dopo si è ritrovato a dirigere il mercato della Roma. Passo avanti o no? La risposta non sarebbe elegante chiedergliela. Di sicuro però nel 2012 non si è tirato indietro nel discutere la differenza tra le due tifoserie. «Inutile nasconderlo: Roma è dei romanisti, che hanno un tifo doloroso, passionale, più pronto a ricominciare. Il tifo della Lazio invece ha un tipo di espressione più pessimista». Generalizzazioni, ovvio, che però ci avvicinano a titoli di coda apparentemente inequivocabili. «La Roma è stata la mia vita – ha detto nel giorno dei saluti –. Ho il rimpianto di non avere vinto, però se questa squadra arriverà allo scudetto, sentirò mio quel successo». Il derby del cuore, quindi, sembra deciso. Occhio però, perché Sabatini è un fantasista della vita. E chissà che il prossimo dribbling non sia dietro l’angolo.

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