L’ex arbitro De Santis: «Da Calciopoli a ’sto schifo. Io, una vittima con L’Aquila. È tutto marcio, zero controlli»

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Il Tempo (T. Carmellini) – Massimo De Santis, ex arbitro professionista già finito nel calderone Calciopoli, negli ultimi anni si è dedicato al calcio «minore». Prima tra i dilettanti, poi è approdato aL’Aquila calcio con il ruolo dirigenziale come responsabile del marketing. Di fatto era l’uomo che avrebbe dovuto trovare sponsor e nuovi soci in grado di investire soldi nella nuova avventura abbruzzese ripartita dopo il disastro del terremoto. È lui che ci fa uno spaccato di quanto accade nel mondo del calcio meno in vista, in quello che non viene analizzato clinicamente dalla tv. Il calcio fatto di campi in terra, di trasferte «low cost», stipendi da fame, nel quale il «controllo», per chiari motivi, viene spesso meno. «Ero tesserato con L’Aquila calcio come responsabile marketing e ho collaborato con il direttore tecnico Di Nicola – uno dei grandi accusati del nuovo filone, ndr – solo ed esclusivamente per quanto riguarda la campagna acquisti di agosto».

Poi cosa è successo?
«Non ci siamo più trovati d’accordo sulla gestione societaria, ne tantomeno sulla campagna acquisti di dicembre. Io avevo trattato altri giocatori che poi il club non ha voluto prendere. Così ci siamo allontanati al punto che nelle ultime cinque o sei partite non sono più andato nemmeno allo stadio» .

C’è anche una sua telefonata nel carteggio che ha scoperchiato il nuovo filone del calcio scommesse.
«Sì, si tratta di un episodio per il quale basterebbe leggere il referto dell’arbitro: molto dettagliato. Mi hanno accusato di essere andato a trovare l’arbitro durante l’intervallo della partita contro il Santarcangelo, ma non è vero. Ho salutato, assieme al presidente de L’Aquila, l’arbitro Colosimo di Torino (purtroppo deceduto in un incidente automobilistico lo scorso marzo), che conoscevo da tempo, prima della gara. Per altro arbitro davvero bene quel giorno».

Prima della partita quindi?
«Sì, ero andato a dirgli che avevamo un problema con le maglie: eravamo sprovvisti della seconda divisa e da lì è scoppiato un casino perché ero andato nello spogliatoio. Non è così, conosco e rispetto le regole».

Ma da dentro non ha mai avuto la percezione che qualcosa non quadrasse?
«Mai. Oggi siamo ancora nella fase delle indagini e avremo modo e tempo per capire cosa sia veramente successo, ma io da dentro non ho mai avuto sentore di combine nelle partite in cui L’Aquila è indicata. Anche se ero presente solo alle sfide con Santarcangelo e Savona: anzi abbiamo anche sofferto per vincere».

Sul direttore sportivo Di Nicola cosa dice?
«Io con lui non ho mai avuto in rapporto “intimo”, parlavamo solo della gestione del club. Il mio ruolo era quello di trovare sposnsor e soci che volessero entrare nel club: insomma davo un aiuto economico. E comunque parlavo direttamente con i presidenti».

Il motivo dei vostri dissapori?
«Tecnici. Dopo la sconfitta con San Marino i rapporti si erano freddati perché io ero del parere che gli acquisti fatti non fossero all’altezza di una squadra che volesse salire in serie B. Dopo quella partita avremmo dovuto esonerare l’allenatore: lui non la pensava allo stesso modo e da li in avanti ci siamo allontanati».

E sulle altre società invischiate nell’inchiesta: mai avuto sospetti?
«Mai avuto rapporti con le altre società di calcio del girone: in nessun modo».

Possibile che il calcio sia così marcio già dal basso?
«Sembrerebbe di sì. Questa mia esperienza a L’Aquila mi ha fatto capire che nel calcio c’è bisogno di nuove regole legate alle scommesse».

Può essere più chiaro?
«Ci deve essere una regolamentazione sulle puntate nei campionati dilettantistici: o meglio non dovrebbe essere consentito scommettere soldi su quelle partite. Sono tornei dove a un certo punto della stagione magari le società vanno in crisi economica, non pagano più i giocatori e quindi mandano in campo ragazzini: insomma non sono più credibili e le partite, soprattutto nel finale della stagione, sono inevitabilmente falsate».

Si, ma la Lega Pro non è un torneo tra dilettanti.
«Infatti, anche qui andrebbe fatto qualcosa. Servono più controlli, costanti, perché dopo Cremona questo nuovo filone dimostra come c’è bisogno di un cambiamento. Ci vorrebbe tra l’altro anche più tutela per i giocatori stessi, pagandoli mensilmente e non come avviene adesso ogni due mesi: spesso non vengpono pagati affatto. Anche questo sarebbe sicuramente un deterrente».

E può bastare?
«Forse no, ma sarebbe già un segnale. Perché è chiaro che quando un giocatore va in campo per perdere si altera ogni criterio sportivo, della sana competizione: diventa un’altra cosa. Non è più sport. Ho sentito di genitori che pagano per far giocare i figli: ma com’è possibile? Così si perde il criterio di selezione naturale, di merito».

Quindi il controllo deve partire dai settori giovanili?
«Esatto, da come vengono gestiti e da come si abitua il calciatore a porsi davanti al successo e alla sconfitta».

Ma come si fa a controllare chi scommette?
«Questo è un altro tema. Anche qui è una questione di volontà, perchè premesso che i regolamenti vietano le scommesse a chi gioca, come fai a controllare parenti, amici che vanno a fare puntate insolite? Ci deve essere la volontà di farlo, perché parliamo di tanti sol- di che vanno nelle casse dello Stato».

Non solo, hanno registrato anche grossi movimenti provenienti dall’estero: soprattutto est Europa.
«Perchè il giro è molto grosso e non si limita alla sola Italia. Ci sono grossi flussi di denaro soprattutto verso i paesi dell’ex… Altro che L’Aquila».

Un Paese già ferito che non trova pace.
«Vero, però mi preme dire che per una città come L’Aquila, che ha sofferto a seguito di quanto accaduto dopo il terremoto, e che nel calcio aveva ritrovato qugli stimoli e quella carica agonistica per fare un gran campionato e sognare la serie B, si è trattato di un vero e proprio fulimne a ciel sereno. Io sono convinto che L’Aquila come società e come calciatori, abbia sempre mantenuto la correttezza durante le partite. Poi, se sarà provato diversamente, ne prenderemo atto. Ma da spettatore e avendola vissuta da dentro, non ho mai avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di sporco».

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