Il Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – Chissà se poi varrà la pena tutta questa energia riformatrice, tutta quest’ansia di cambiare storia visto che non si riesce a cambiare la storia. James Pallotta, presidente della Roma, non è affatto animato da sinistre intenzioni. Onestamente affascinato da questo guaio in cui si è cacciato, sinceramente appeso al telecomando quando gioca la sua squadra di calcio. Gli affari emozionano, ma anche un calcio d’angolo. In questo caso poi fanno un cocktail unico.
AVVENIRE – Nella vicenda di Francesco Totti, per dire, non c’è tanta differenza di bilancio tra lasciarlo giocare ancora un anno e toglierlo di rosa. C’è differenza di visione del mondo: la Roma con Totti è una, quella senza è un’altra ed è chiaro da quale parte sia la modernità secondo Pallotta. Il punto non è neppure chi abbia torto e chi ragione, il punto è chi si sentirà a suo agio nella Roma differente che la proprietà americana sta progettando, anzi, che sta già costruendo. Molto più rapidamente dello stadio, c’è da aggiungere. Walter Sabatini, per ragioni soprattutto sue, non farà parte di quest’avvenire. Daniele De Rossi probabilmente neppure. Contando Totti, dei tre capisaldi della romanità originaria resterà probabilmente solo uno, come nei film d’azione: Alessandro Florenzi, sotto contratto fino al 2019. Mentre la vita privata di De Rossi fiorisce (matrimonio recente, terzo figlio in avvicinamento), quella calcistica gli scricchiola insidiosamente sotto i piedi. E nei polpacci, da un po’ soggetti a ripetuti infortuni. E’ andato a parlare con il commissario tecnico ancora in attività di servizio, Antonio Conte, il quale gli ha detto chiaro e tondo che a meno di un finale di campionato che accenda gli special non lo chiamerà per l’Europeo. Con Luciano Spalletti, a occhio, le sue principali possibilità di giocare regolarmente sono legate alle disgrazie dei difensori centrali oppure a un’aperta concorrenza con Keita e Vainqueur. Mentre Pjanic e Nainggolan occupano stabilmente due caselle, a parte casi particolari. Per esempio, sono entrambi diffidati e dopo l’Inter arriva subito il derby. De Rossi ha materiale su cui riflettere. Partendo dal contratto che scadrà nel 2017 e gli garantisce 6,5 milioni a stagione: decisamente il più ricco della squadra. La spesa reale per il club è quasi il doppio ed ecco un’ottima ragione – ottima dal punto di vista pratico, nessun giudizio di merito da parte nostra – per la quale se Daniele deciderà di lasciare la Roma alla fine di questo campionato non gli verranno opposte difficoltà.
SENTIMENTO E TESTA – E’ probabile? Sì, è probabile. Già nell’estate 2013, al bivio tra la gestione di Zeman-Andreazzoli e quella di Garcia, De Rossi aveva deciso di allontanarsi da una squadra in cui non si sentiva a suo agio, da una tifoseria che non lo sosteneva più e anzi tendeva a considerarlo colpevole di tutti gli scherzi della malasorte. Poi l’offerta buona, quella di 40 milioni di euro del Manchester United, arrivò troppo tardi, quando ormai non c’era spazio per la ricerca di un’alternativa. Garcia fu contento, De Rossi anche («Via da Roma mi sarei suicidato», disse) e i tifosi pure, visto che De Rossi venne incastrato dal tecnico francese nell’unico meccanismo tattico di sua invenzione che abbia davvero funzionato. De Rossi ha un cuore luminoso. E’ andato a Firenze a mettere la medaglia d’oro del Mondiale 2006 sul corpo di Pietro Lombardi, il magazziniere della Nazionale scomparso a 92 anni. Ha anche una testa lucida e visualizza il domani prima di impostarlo. Gli Stati Uniti lo attirano, ma sa bene che lì non potrà guadagnare quanto in Italia. Los Angeles o New York pari sono, a Toronto, dove vogliono vincere, comunque danno a Giovinco poco più di 6 milioni di euro. A lui darebbero meno. D’altra parte a 32 anni non si aspetta che l’Inghilterra sia generosa quanto sarebbe stato lecito attendersi nel 2013.