Boniek: “Prima di passare alla Juventus avevo firmato con Viola ma al ministro polacco non andava bene il pagamento in tre rate. Alla Roma potevamo vincere lo scudetto. Totti è un fenomeno, è rimasto sempre lo stesso”

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Il Corriere dello Sport (W.Veltroni) – Volava come pochi, Boniek. Detto Zibì a causa del nome da codice fiscale, almeno per noi. E’ stato juventino e romanista, con la stessa intensità. Vive a Roma e però sta molto in Polonia dove presiede la federazione gioco calcio. Chi ama il più bel gioco del mondo ha nella memoria le sue folate, i suoi dribbling, i suoi tiri secchi. In queste interviste abbiamo conosciuto il modo in cui dei ragazzi italiani, di varie generazioni, hanno imparato a giocare al calcio.

Quella fu la sua ultima partita in bianconero. Perché andò alla Roma?
«E’ una storia che racconta come erano quei tempi, almeno in Polonia. Io, prima di passare alla Juventus avevo firmato con Dino Viola. Ma allora era il Ministro dello sport a decidere se un giocatore poteva andare via dalla Polonia. La Roma poteva pagare l’acquisto in tre rate e il ministro non era d’accordo. La Juve si offrì di pagar subito. E fui bianconero. A Viola dissi che se fossi andato bene tre anni dopo, il tempo del contratto, sarei andato in giallorosso. Dopo due anni e mezzo mi cercò. Lo vidi a Firenze. Mi feci prestare la Ferrari da Michel. Per fare prima ma anche perché pensavo che arrivando in quel modo avrei avuto un contratto migliore… Aggiungo che alla Juventus si stava concludendo un ciclo».

Com’era quella Roma?
«Le declino il centrocampo: Ancelotti, Cerezo, Conti, Boniek. Non male. In panchina premevano Giannini e Desideri. Davanti c’erano Pruzzo e Graziani. E voglio dirle che, per me, Pruzzo è stato l’attaccante più forte con cui abbia mai giocato. Sembrava avere un timing per la scelta dei tempi, non era alto ma di testa la prendeva sempre lui. Potevamo vincere lo scudetto, avevamo ripreso la Juventus dopo una fantastica rincorsa. Ma poi arrivò la partita con il Lecce…».

La sua opinione su Totti?
«Totti è un fenomeno. Per prima ragione perché gioca nella stessa squadra da sempre, segno di amore e attaccamento alla maglia. Ma anche per un altro motivo. Lui è, mi passi il termine, il re di Roma. Ma è rimasto il ragazzo semplice e divertente, ironico e gentile di sempre. Altri, con un centesimo del suo talento, perdono la testa facilmente. Lui è sempre lo stesso. Un campione, dentro e fuori del campo».

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