600 volte Totti

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Il Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – Fare due conti ancora no, un’altra volta, in un’altra vita. Quando Francesco Totti non sarà più la Roma e la Roma non sarà più Totti. Oddio, forse ci vorrà un altro universo, non questo in cui l’uomo dei sogni si alza dalla panchina così, perché ogni tanto bisogna fingere di scaldarsi per ingannare la noia, e come se tutti si fossero distratti girandosi da quella parte la palla grandina in area, Rüdiger levita, la Roma segna. Non questo in cui Totti si avvicina alla linea laterale dopo aver fissato le scarpe con la cura di un incisore, il quarto uomo alza i numeri luminosi e lo stadio comincia a tremare come un soufflé. Nessuno fa i conti. Li lasciano fare agli innocenti. La nipote di Totti, Aurora, figlia del fratello Riccardo, porta una maglia con scritto: “Sei grande zio Cecco, 600… to be continued”. Ma sì, continuiamo, come se nulla fosse, come se il tempo non passasse, e perché sembra non passare non chiedetelo a noi, chiedetelo a Totti. E’ lui che scuote le coscienze, abbatte le convinzioni, conduce allo sfaldamento i ragionamenti più serrati. E’ lui che, debitamente ferito nell’orgoglio, in sei frammenti di partita segna quattro gol, modella due assist, travolge la classifica, fa un upgrade alla Roma. La sua Roma, quella per la quale ha giocato, a ieri, 600 gare in Serie A, terzo nella storia italiana dietro Zanetti con 615 e Maldini con 647.

OLTRE – Numeri, fatti, parole. La vita è fatta di questo, anche una vita straordinaria come quella di Totti. E amore, e sogni, e tutta la zuppa di retorica di cui sentite l’odore. A lui va bene così, a noi figuriamoci, ai tifosi della Roma non ne parliamo. E’ per lui e per tutto questo che ieri lo stadio era quasi pieno e chi non c’era ha scelto di non esserci e altri ancora hanno voluto esserci lo stesso, senza farsi notare, guardando la partita da un barcone sul Tevere addobbato in giallorosso, riunendosi altrove a parlare e a cantare. Però sia reso merito a chi allo stadio c’era, anche a Fabio Fognini camuffato senza la fascia in testa, e a chi sin dall’inizio aveva detto chiaro che cosa significasse questa partita, qualcosa che va molto oltre il secondo e il terzo posto, oltre la Champions League e oltre i sogni di gloria. Totti è puro piacere di essere calcio e calcio romano e calcio italiano perché nulla di ciò che Totti è stato può confinarsi in una cinta di muro o di asfalto. Anche se la tentazione c’è. Ieri gli striscioni stesi per l’intera ellisse dell’Olimpico esprimevano appartenenza, possesso geloso. Giallorosso assai più che cittadino. Sono venuto dalla Russia, Hong Kong sostiene Totti, 600 partite, 248 gol e di che cosa vogliamo parlare. E si scrive Totti e si legge Roma, e mio capitano per sempre, numero 10 per sempre.

IRONIA – Questo dicono di lui e molto altro. Lo dicono, lo scrivono, lo incidono e lo stampano. Sulle magliette, quelle del nostro giornale, quelle degli amici e dei parenti e dei tifosi diventati lettere d’amore e cuori gonfi, quelle delle persone scelte da Totti per condividere se stesso. La moglie Ilary ne ha mostrata una a sua volta: “Tu sei il calcio”. Per lei un bacio, per la folla la commozione implacabilmente memorizzata dalla Tv, per Pjanic il passaggio a briglie mollate che lo ha mandato in gol, quelle cose la cui grandezza risulta chiara solo a chi ha visto un mucchio di partite, anche più di seicento. Un regalo per tutti, l’ironia di dire no a chi gli ha chiesto se l’anno prossimo saremo ancora qui concentrati nello stesso scantinato dello stesso stadio, il giro di campo per i tifosi raccoltisi quanto potevano sul ciglio della pista di atletica, lì dove c’era lo spazio lasciato da chi contesta, mentre gli altri restavano convinti ciascuno sulla sua piastrella, a guardare la squadra che agitava le mani sì, ma soprattutto dov’era Totti, che cosa stava facendo Totti. Voglia di un rito che unisce, rassicura, esorcizza le infelicità e dona l’illusione che la giovinezza sia eterna. Ma c’è anche la giovinezza vera, quella che illude meglio. I primi due figli di Totti che giocano sul campo insieme con il padre, Cristian e Chanel, tra i bambini vestiti con le maglie della squadra, i maschietti già calciatori nati da calciatori, impressionanti nei loro movimenti ricalcati su quelli dei padri, la simulazione di un futuro. Per loro è solo un gioco e ciascuno gioca come lo conduce la fantasia. E’ sempre stato un gioco, in fin dei conti. Per questo dura ancora. Il mestiere, al quale Totti non si è mai sottratto, è una sovrastruttura. Il messaggio che Totti trasmette e al quale il suo mondo con fermezza crede è questo. Quindi è normale che fuori del centro sportivo di Trigoria i tifosi abbiano deposto un altro lungo striscione d’omaggio: «Ho tifato in tutti gli stadi, ho affrontato tutto e sono rimasto in piedi. L’ho fatto alla mia maniera. Di nuovo insieme, mio Capitano, a testa alta, alla tua maniera». Bisognerà fare a meno di Totti, prima o poi. Ma un’altra volta, un altro domani.

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