E’ nata una filosofia

Pagine Romaniste (Alessio Nardo) – Le ore passano ma rendersi conto di ciò che è realmente avvenuto ieri sera è difficile. Molto difficile. Siamo reduci da una serata, diciamo così, anomala. Molto romanista per le emozioni e per il piacere di aver riscoperto che siamo ancora in grado di unirci (tutti) nella fratellanza giallorossa, ma al contempo poco romanista perché un’impresa del genere, signori, non era nelle previsioni. E’ accaduto qualcosa che effettivamente è più grande di noi. Era complicato anche solo sperarci, figuriamoci crederci. Il Barça, i marziani, i tre gol di svantaggio, Messi, Suarez, la consapevolezza che tanto, anche all’Olimpico, avrebbero mandato uno col fischietto a far danni. E infatti, Clement Turpin ne ha combinate più di Makkelie in Catalogna. Ci siamo avvicinati a questa gara con interesse, ma senza illuderci troppo. Invece loro, i nostri amati/odiati guerrieri, condotti e sedotti dal trascinatore Eusebio, ci hanno creduto davvero. Mica per scherzo.

Lo si è capito subito. Pressing asfissiante, squadra alta e perfetta nella gestione tattica e mentale della partita. Barça (sicuramente presuntuoso e convinto di portarla a casa senza fatica) irretito e soffocato dalla furia giallorossa. Dzeko non ha perso un duello individuale e non ha sbagliato una giocata. Schick e Nainggolan, in ruoli inediti all’interno di uno spartito quasi improvvisato, si sono dati da fare al netto di qualche imprecisione tecnica. Gli altri? Dei soldati. Dei gladiatori degni della Roma antica. Spavaldi e fieri, concentrati e avvelenati per novanta minuti. I tre dietro? Mostruosi. Insuperabili. Complimenti sinceri a Juan Jesus, la riserva più affidabile della Roma difranceschiana. De Rossi e Strootman solidissimi, Florenzi e Kolarov due cavalli di razza instancabili per novanta minuti. Roma esaltante, capace anche di far gol nei momenti giusti. C’era un altro rigore per noi in avvio, Turpin se n’è fregato. Ha segnato Dzeko, da campione, su sublime lancio in verticale del 16. Nella ripresa andava cacciato Piqué, la Roma non ha fatto una piega. Gol di Daniele dagli undici metri: definitivamente scacciati i fantasmi dell’Old Trafford del 2008. E alla fine, contro un avversario impreparato e sopraffatto dalla paura di uscire, ci ha pensato Kostas con quel gol da perdere la voce e quell’esultanza così bella, così pazza, così romanista.

Apoteosi. Roba da restarci secchi. Qualcosa di mai visto e mai vissuto per tanti romanisti. Giovani e vecchi. Una serata che rimarrà nella leggenda non soltanto della Roma, ma anche della Champions League. Tra mille protagonisti, non può esser dimenticato lui. Ovvero, l’uomo che la partita l’ha saputa preparare nei minimi dettagli. Colui che ci ha creduto sin dall’inizio, spronando i suoi giocatori a provarci, andando oltre i propri limiti. Eusebio Di Francesco ha detto bene in sala stampa: “Non è nato un nuovo sistema di gioco, è nata una filosofia”. I numeri contano, sì, ma mai quanto la testa. La Roma è stata squadra vera, un branco di leoni. Ha messo in campo voglia, dedizione, partecipazione, aggressività, mentalità. Ha annientato e dilaniato il Barça, non abbassando mai il livello di tensione e concentrazione, trasmettendoci la speranza concreta di potercela giocare con chiunque, da qui alla fine. E non è che manchi poi molto. Due partite di semifinale, contro chi non si sa, lo scopriremo venerdì. E forse (forse…) quella gara lì. Che si giocherà in Ucraina in un giorno poco felice di maggio. In altri tempi avremmo detto “figuriamoci”. Ora è il caso di provarci sul serio. Perché, riportando le parole del mister, non bisogna più accontentarsi. Vietato pensare “come va, va”. E’ la nuova filosofia. Il nuovo modello di pensiero romanista, introdotto dal signor Eusebio Di Francesco. Semifinalista in UEFA Champions League.

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