Una maggioranza last minute il calcio italiano non cambierà

La Repubblica (F.S.Intorcia) – Nella migliore delle ipotesi, la Federcalcio avrà oggi un presidente poco nuovo e assai debole, con una maggioranza risicata in un consiglio monco, che non permetterà di fare le riforme: il primo vero obiettivo sarà schivare la scure del commissariamento da parte del Coni. Nella peggiore, residuale ma non da escludere, dalle urne non uscirà un vincitore, se uno dei candidati avrà dato indicazione ai suoi di votare scheda bianca e il primo dei tre non avrà superato il 50% dei voti validi. In questo caso la Figc sarebbe commissariata subito, senza attendere la fine delle beghe in Lega di A.

Questa è la fotografia del calcio italiano nell’anno del Signore 2018, il primo senza il Mondiale dopo 60 anni. In ogni terremoto, la fase della ricostruzione è spesso una nuova ferita in una terra squarciata. In questo caso, l’unità d’intenti e i buoni propositi manifestati dopo il fallimento con la Svezia sono evaporati dinanzi a più banali questioni di Realpolitik. Al punto che ieri sera a Fiumicino, a dodici ore dal voto, s’attendeva ancora come l’oracolo la decisione dei calciatori, riuniti nell’assemblea dei delegati per eleggere i propri consiglieri federali (confermati Damiano Tommasi, Umberto Calcagno, Simone Perrotta e Sara Gama). In teoria, erano quelli con le idee chiare da subito, la base da cui ripartire. Nella pratica, alla vigilia del voto discutevano ancora se sostenere Tommasi; appoggiare Gravina, con cui erano insieme dieci mesi fa a votare Abodi; o virare su Sibilia, con cui avevano discusso d’intese già a novembre. Tommasi a sera annunciava: «Non mi ritiro, vado avanti». La palla ce l’ha lui. Deve scegliere chi mandare in porta. Pure stavolta la vigilia del voto ha riproposto gli scenari di sempre. Pressioni dei partiti d’ogni colore sulle componenti e sui presidenti di club, perché a cinque settimane dalle elezioni politiche il voto in Federcalcio è ritenuto strategico.

Tentativi più o meno improvvisati di congiure last minute. I delegati dei Dilettanti riuniti in un albergo diverso da quello del voto, al riparo da tentazioni. Nelle ultime elezioni, celebrate a marzo di un anno fa e produttive di una maggioranza fragile, arrangiata e improbabile, madrina del più grande disastro sportivo del calcio italiano, gli arbitri decisero nottetempo di passare con Tavecchio dietro la promessa di non tagliare i fondi alla categoria. Ecco, il governicchio nacque così. Ma Tavecchio almeno arrivava all’ultima notte già con metà dei voti in tasca: una soglia a cui adesso nessuno s’avvicina. E in questo scenario, il nome del nuovo presidente rischia d’essere un dettaglio. Perché il consiglio federale nascerà di nuovo senza i tre rappresentanti di una Serie A ancora commissariata e perché il Coni ha dato un mese di tempo per sanare quest’anomalia. Per questo motivo, il futuro capo del calcio italiano non forzerà la mano sulla nomina del ct, pur essendo nei suoi poteri: il primo obiettivo sarà scegliere il nuovo commissario della A, l’uomo che dovrà risolvere lo stallo e salvare gli equilibri dell’intera Federcalcio.

Nelle prime due votazioni servono il 75% e il 66%: nessuno ha questi numeri. Dalla terza basta il 50% +1, altrimenti si va al ballottaggio fra i due più votati: Sibilia è l’unico certo di andarci. Gravina appare favorito sul traguardo, se i calciatori convergeranno su di lui vincerà con il 58%. Ma prima Tommasi vuole giocare la palla da solo, verificare la sua forza. Perché i voti si contano, non si pesano. Come ripete Claudio Lotito, il kingmaker delle ultime due elezioni: abituato a vincere, oggi punta su Sibilia.

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