Testa: «Lo stadio riqualificherebbe un intero quadrante della città»

Il Corriere della Sera (C.Testa) – Lo stadio della Roma è molto più dello stadio della Roma. Fortunatamente. È molto di più per due motivi. Innanzitutto lo stadio vero e proprio è solo una parte dell’intero progetto. Bello, un bello stadio, grande, ma non enorme, moderno, sicuro e comodo. Il calcio è un’industria nazionale, che ha bisogno di luoghi di «produzione» adeguati. Poi c’è un parco urbano, verde pubblico, di più di 60 ettari, a disposizione di tutti. C’e’ un centro commerciale intorno a piazze pubbliche, modello piazza Gae Aulenti a Milano, per capirci. Poi ci sono tre audaci torri e altri edifici direzionali. E infine opere pubbliche quali il rafforzamento della ferrovia Roma-Lido, una nuova fermata della Metro B, un nuovo ponte sul Tevere e al ricucitura delle strade Ostiense, via del mare e collegamento con Fiumicino. 450 milioni di investimenti infrastrutturali tutti tutti a carico dei privati. Oro per le casse piccole del Comune di Roma. Investimento complessivo 1 miliardo e 700 milioni. Quindi un progetto completo di trasformazione urbana, la creazione di un polo sportivo, commerciale , direzionale destinato a diventare una centralità urbana di prima grandezza. Un intero quadrante della città sarebbe riqualificato e chi ha a cuore il miglioramento delle periferie dovrebbe essere soddisfatto. Un struttura di questo genere porta posti di lavoro e reddito, migliora i valori di mercato di tutta la zona, offre servizi e luoghi di aggregazione organizzata e sicura. Peccato che una vecchia e miope legge sui nuovi stadi non permetta anche la creazione di residenze.

Di fronte a un progetto di questo genere le obiezioni che sono state fatte sono di due tipi. Berdini incarna quelle per cui mattone e cemento, soprattutto se privati, sono di per sé farina del diavolo. E lì c’è poco da fare. Si tratta solo di decidere se Roma vuole cominciare ad assomigliare anche ad una metropoli moderna, in continua trasformazione, o se preferisce deperire e lasciarsi morire per inedia. E le metropoli sono fatte con i mattoni, il cemento, l’acciaio e tutto il resto. Ma ci sono le regole, si dice! Certo, ma le regole servono per promuovere l’interesse di tutti e nessuno capisce perché quel che va bene alla Regione non vada bene al Comune. Hanno regole diverse? Poi ci sono le obiezioni di merito nessuna delle quali insuperabili con le moderne tecnologie costruttive. Certo se il problema, come lamenta la Sovrintendenza è il cambio del panorama o la tutela delle tribune dell’ippodromo di Tor di Valle, spalanchiamo le braccia e rassegniamoci. E qui sta infatti la seconda ragione per cui lo stadio è molto più di uno stadio. Questo è sicuramente il progetto più audace , ma anche completo, che sia stato proposto a Roma da molto tempo. Quasi una piccola EUR. Ha il vantaggio di essere stato «pensato e progettato» al contrario della crescita «spontanea» e disordinata dei tanti decenni del dopoguerra. E’ negoziato con il Comune in piena trasparenza di oneri e di onori. Potrebbe essere l’inizio di un’inversione di tendenza, dopo quasi un decennio di apatia e rifiuto di ogni trasformazione. L’area è stata scelta da un privato? E che cosa cambia questo se l’idea è valida? Se aspettiamo che sia la burocrazia comunale a proporre progetti di questo genere possiamo metterci l’anima in pace. Nè ha senso dire «fatelo, ma fate tutto più piccolo». Questo sarebbe solo mancanza di coraggio e di immaginazione.

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