Corriere della Sera – Soli o male accompagnati. Perchè alla fine vincerà la tecnologia

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L’autorità esclusiva dell’arbitro fu messa in discussione, per la prima volta, nel 1935 a Chester, nella patria del calcio. Arthur Barton ed Eddie Wood, metà campo per uno, fischiarono i falli da breve distanza riducendo gli errori. Una direzione a due quasi perfetta, subito bocciata: il costo, doppio, fu ritenuto eccessivo. L’arbitro, felice, si riprese l’intera responsabilità, crebbe in popolarità con la diffusione del calcio e accettò solo la compagnia di due guardalinee con compiti limitati. Nel dopoguerra, la tv era appena nata e non si occupava di calcio; il fuorigioco non si misurava in centimetri; cresceva così il mito dell’arbitro infallibile, per assenza di valutazioni alternative. Il Mondiale 1966, in Inghilterra, fu deciso da un gol fantasma assegnato agli inglesi nella finale con la Germania Ovest dal guardalinee azero Bakhramov tra tanti dubbi; l’arbitro svizzero Dienst, lontano dalla porta, rinunciò alla sua esclusiva autorità.

Poi la tv fece crollare la certezza arbitrale, ma mise anche in evidenza l’enorme peso tecnico che gravava sulle spalle dell’arbitro: un uomo solo non poteva valutare, senza errori, un gioco sempre più complesso e dinamico. Dal 1990 nacquero i veri controllori del fuorigioco: guardalinee con preparazione fisica e mentale atta a cogliere quegli attimi. L’arbitro centrale cedette, con sollievo, il controllo della regola 11: la sua autorità non veniva sminuita. Gioco sempre più veloce e arbitri, per quanto ormai atleti, in difficoltà. Nel 1999 si riprova, in Coppa Italia, l’arbitraggio a due, ma la ripresa televisiva mostra la grande differenza di interpretazione delle regole. Ormai gli errori evidenti dell’arbitro unico stimolarono nuove idee: altri due collaboratori dietro le porte. E Platini precisò: «Due ex giocatori per vedere il gol oppure aggiungiamo due ex arbitri». Sarà l’arbitro che deciderà, ma deve passare da un’impostazione autoritaria alla piena collaborazione. Una rivoluzione. Ora si arbitra con gli addizionali e la differenza tecnica tra i tre è grande. Sui corner collaborano, ma talvolta sui rigori sono su posizioni opposte. Finisce per prevalere l’autorità dell’arbitro centrale oppure, ancora peggio, comanda il più esperto che, dal fondo campo, decide per il giovane centrale. Ne consegue che oggi gli errori arbitrali in area sono ancor meno accettati: perché non si riesce a decidere bene da pochi metri? Perché ognuno dei tre vive in solitudine un’esperienza comune in quanto guidato ancora da un Dna che prevede un potere esclusivo. Vincerà, lentamente, la tecnologia.

Il Corriere della Sera – P.Casarin

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