Quella stanca mezza dozzina

La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – Fa il filosofo, Byung­-Chul Han, sudcoreano che vive in Germania e in un libro – «La società della stanchezza» – ha perfettamente descritto i disagi da stress dell’uomo di questo secolo. Ecco, se Han volesse mai farsi un giro a Trigoria, magari potrebbe pensare di scrivere un altro saggio, quello di una Roma che vive sospesa tra un evidente stress psicofisico e l’esigenza di convincersi che no, non è vero, vogliamo, dobbiamo e soprattutto possiamo giocarle tutte alla grande, fino alla fine. Perché Luciano Spalletti è stato chiaro, dopo la sconfitta nel derby di Coppa Italia: «Se iniziamo a pensare che siamo stanchi siamo rovinati, non arriviamo in fondo».

A TUTTA – Zero alibi però non vuol dire zero analisi. Perché la partita di mercoledì ha lasciato negli occhi e nella mente l’immagine di una squadra apparsa stanca, nell’accezione più ampia che può avere il termine. Non necessariamente dal punto di vista fisico, certamente da quello mentale. Tanti appuntamenti, tutti di livello e tutti ravvicinati: questo dice il calendario, con conseguenze inevitabili sulla quotidianità. Tanto per fare un esempio: domani è già Roma­-Napoli, così Spalletti ha dovuto anticipare già a ieri mattina la (lunga) sessione video del match con la Lazio. Pillole di saggezza, un bignami al massimo, i manuali non c’è tempo neppure di sfogliarli. E forse non c’è neanche la forza per farlo. Vallo a dire a quella «sporca mezza dozzina» di calciatori di cui la Roma non può fare a meno mai: nessuno tra i top club in Italia, Juventus e Napoli nello specifico, ne ha altrettanti sopra quota 2.600 minuti, più o meno 29 partite complete disputate. Nell’ordine: Nainggolan, Dzeko, Strootman, Peres, Fazio e Manolas, sei a cui Spalletti, per motivi diversi, non rinuncia. Sarebbero sette, se la Coppa d’Africa non avesse tolto minuti giallorossi (ma non complessivi) dalle gambe di Salah. Si dirà: il problema è filosofico, i tre giocatori del Barcellona con maggiore minutaggio sono Messi, Suarez e Neymar, i big. Certo. Anche nella Roma sono i più forti. Ma sono sei, contro i due della Juventus (sopra 2.600’ solo Khedira e Higuain) e i due del Napoli (Callejon e Hamsik). E il club giallorosso, che pure ha disputato due match in più dei bianconeri e tre degli azzurri, ha nello storico un girone di Europa League non certo paragonabile per impegno a uno di Champions.

ZERO MERCATO – In giro per l’Europa il discorso si rafforza. Prendendo in considerazione le prime tre dei top campionati, ad eccezione della Bundesliga (meno giornate) e dei club che non sono impegnati nelle coppe, solo il Monaco viaggia ai livelli di stress romanisti: 7 calciatori sopra quota 2.600’, a fronte però di 42 incontri, 3 in più della Roma. Psg, Barcellona, Real Madrid, Siviglia ne hanno meno. Ironia della sorte, considerando l’accostamento Spalletti-­Tottenham di cui parliamo altrove, sono proprio gli Spurs ad avere un ruolino simile a quello giallorosso: 39 gare e sei calciatori sopra i 2.600’. Il club di Londra è però uscito dall’Europa, la Roma ha invece l’ambizione di fare più strada, Lione permettendo. Ormai però è una strada sempre più stretta: il grado di difficoltà è destinato ad aumentare, ai giocatori forti sarà sempre più difficile rinunciare. Anche perché il mercato non ha prodotto l’arrivo di un vice Dzeko e neppure quello di un ricambio subito pronto a centrocampo, considerato l’apporto fin qui nullo di Grenier. In fondo, il pallino è nelle mani del filosofo di Trigoria: se riesce a convincere i suoi che nel portafoglio ci sono soldi sufficienti, lo shopping da qui in avanti può rivelarsi ancora – per dirla alla Rovazzi – «tutto molto interessante».

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