Il Messaggero – Frenata ma non troppo. Forse perché all’orizzonte c’è la Fiorentina che visto il risultato del Napoli (al quale poi si è aggiunto nella serata di ieri quello del Milan) offre su un piatto d’argento un’occasione irripetibile.

O probabilmente perché dopo l’incontro avvenuto venerdì in Procura, Mourinho ieri era quasi obbligato ad una retromarcia: “Non ho mai messo in dubbio la qualità dell’arbitro e non ne ho parlato male. L’espressione che ho utilizzato mi sembra assolutamente normale, perché la uso anche su me stesso sia a lavoro che nella vita sociale. Forse è stata capita in un modo diverso. Penso però che noi allenatori non dobbiamo parlare degli arbitri prima della partita. È una riflessione che ho fatto da solo e che ho comunicato al Procuratore Chiné. Dopo la gara possiamo essere più o meno felici ma prima dobbiamo partire dal principio che gli arbitri vogliono fare bene, lasciandoli tranquilli”.

Non si fa in tempo ad abbozzare un sorriso, pensando ad un doveroso passo indietro per evitare il deferimento, che l’istinto del portoghese rimette i puntini sulle i: “Mi aspetto comunque giustizia. Mi sono presentato spontaneamente e sono stato felice, il procuratore federale mi ha dato l’opportunità di dire quello che dovevo. Durante la partita l’arbitro ha poi dimostrato capacità e nel post ho detto che aveva fatto un buon lavoro. Non capisco quale sia il problema. Questo è quello che ho detto a Chiné. Il Sassuolo si è lamentato per quanto dichiarato su Berardi? Ho difeso il calcio e loro mostrano poca personalità. Ero lì, a Reggio Emilia, potevamo dirmelo di persona. E invece dopo avermi salutato calorosamente non ho sentito nessuno se non poi leggere il giorno dopo le loro dichiarazioni. Personalità ma non solo, è una questione anche di dignità”. E menomale che doveva essere conciliante.

Lo diventa soltanto quando gli chiedono se la posizione di Pinto, che lo ha difeso nella vicenda incriminata, può essere il primo passo per un riavvicinamento con la società in ottica prolungamento: “Non mi piace rispondere a domande ipotetiche. Quel sostegno mi ha fatto piacere perché io do tutto per la Roma anche quando sbaglio. Il presidente e i suoi figli sono qui, abbiamo parlato e il rapporto è positivo ma non del futuro e della scadenza di contratto. Per me, comunque, Pinto è la Roma. Quando parla lui, per me parla la Roma. In quel momento ho sentito che era la società che parlava”. Anche in questo caso, come sul tema Procura Marcenaro, un colpo al cerchio e uno alla botte.